Eroe per caso, Eroe per poco

Andrei Stoliarov

di Luca Brancher (con la collaborazione di Salvatore Greco)

Roger Federer ha messo in calendario da tempo la data del 21 novembre, ovvero quando, assieme ai suoi connazionali, salirà a Lille per disputare la finale di Davis Cup, ultimo tassello, assieme alla medaglia d’oro alle Olimpiadi, che manca alla sua ineguagliabile collezione di allori di prim’ordine. Un’occasione d’oro ed allettante, dal momento che l’elvetico conta ormai 33 primavere e per il fatto che vivrà la situazione insolita di essere l’unico singolarista del suo team a non aver portato a casa un titolo Slam nel corso della stagione. Un modo come un altro per rendere evidente le probabilità di successo che la squadra di Severin Luthi possiede in quest’atto conclusivo e che potrebbe permettere a Roger di ribadire il suo ruolo predominante nella storia di questo sport. Sarebbe un peccato che un campione come lui, nonostante l’handicap di essere cittadino di una nazione storicamente non leader in questo sport, non vincesse questo titolo. Molti campioni, prima di lui, ci sono riusciti. Ma non devi essere per forza stato un fenomeno per garantirti tale premio: per esempio, capace di vincere la Davis, recentemente, fu anche Andrei Stoliarov, ma quanti si ricordano di lui?

Andrei StoliarovLa carriera dell’atleta russo, ad alti livelli, è circoscritta all’interno di due stagioni, il 2001 ed il 2002, e a supporto di tale ipotesi esistono due episodi che fungono da confini del suo periodo felice. Il primo, risalente ai primi giorni di gennaio del 2001, quando raggiunse, al termine di una settimana costellata da varie rimonte, la finale nel torneo di Chennai, dove si dovette piegare all’altrettanto sorprendente ceco Michal Tabara, mentre l’altro è figlio di un incontro al Roland Garros dell’anno dopo, quando sembrava sul punto di sorprendere un Lleyton Hewitt appannato – era avanti 6-4 5-0 – fino al momento in cui l’australiano comprese che non era giornata in cui andare per il sottile se si ambiva ad uscire indenne dal rettangolo di gioco “Dovevo usare il piano B, ovvero lottare, lottare, lottare. Mi aiutò non poco aver visto, prima dell’incontro, Rocky IV. Sapete, lui è russo come Ivan Drago…”. Certo, ad eccezione della Davis Cup, dove il meglio doveva ancora venire.

La Russia, in Davis, ha trionfato due volte, in anni in cui, i tifosi calciofili, rammentano primariamente i Mondiali di Calcio: 2002 e 2006. Il secondo titolo, vinto in casa e perpetrato ai rivali argentini, ebbe come protagonisti Marat Safin e Nikolay Davydenko, ovvero un ex-numero 1 e vincitore di Slam ed un tennista che in quegli anni ricopriva con tranquillità il ruolo di top-5, coadiuvati nel doppio da un Dimitry Tursunov, 20esimo giocatore del ranking mondiale, e con Misha Youzhny pronto a subentrare in caso di necessità. Che poi fu quanto accadde quattro anni prima a Parigi, dove il ventenne Youzhny dovette sostituire nel singolare conclusivo un imbolsito Kafelnikov e non rendere vano il pareggio di Marat Safin contro Sebastien Grosjean. A completare il quartetto c’era proprio lui, Andrei Stoliarov: non ci sembra avventato dire che il suo nome, al fianco di quello dei suoi connazionali, stona.

A Stoliarov nel 2002 non accadde quanto sarebbe successo al povero Roko Karanusic tre anni dopo, che quasi certo di dover accompagnare Ancic, Ljubicic e Karlovic a Bratislava per la sfida conclusiva della Davis Cup di quell’anno, che sarebbe poi stata vinta dagli stessi croati, si vide defraudato del posto per permettere alla leggenda locale, Goran Ivanisevic, di fregiarsi di un ulteriore alloro oltre a quelli già conquistati nel corso della sua carriera culminata, nel suo climax ascendente, con l’eroica impresa londinese – nonostante si fosse ritirato nel 2004. Eppure, fosse accaduto, non sarebbe stato niente di diverso rispetto al preludio di quella che sarebbe stata la sua carriera negli anni a seguire. Perché dell’altare parigino sarebbero rimasti soltanto i ricordi, il resto sarebbe stata polvere.

Dopo aver frequentato il circuito ATP con discreto successo nel biennio prima citato, collezionerà un’incidenza di sconfitte al primo turno ragguardevole nel 2003, quando infatti la sua posizione del ranking, a fine anno, non sarà nemmeno più compresa nella top-200, ed annasperà in maniera quasi goffa poi, anche a causa di qualche infortunio, ma mettendo comunque in luce un iato quasi insensato rispetto al giocatore che era stato prima. Ci provava, va detto, ma oramai non c’era più alcuna prestazione che lasciasse intendere che quanto colto allo scoccare del nuovo secolo potesse essere ripetuto in futuro. E quando lo notavi recarsi in India per giocare due futures e, pur sfidando giocatori che non sarebbero poi divenute stelle, riusciva a prendersi un bagel da entrambi, una piccola lacrima sorgeva sul tuo volto.

Per un uomo che, nonostante tutto lasciasse supporre non avesse senso che cercasse di provare a rimediare ad un destino ormai segnato, per un giocatore che avrebbe comunque potuto raccontare che, un tempo, aveva vinto una Davis. Abbandonò nel 2007, ma tre anni dopo provò un semi-rientro, interrotto bruscamente dopo il pesante 0-6 1-6 patito sul tappeto indoor di San Pietroburgo per mano del doppista Frantisek Cermak: un degno finale per chi non si è mai voluto arrendere dal fare quello che doveva nonostante le avverse condizioni. A questo proposito, folgorante tornava in mente un piccolo aneddoto raccontato dal saggista polacco Kapuscinski, riguardo ad un episodio che gli accadde quando si recò in Siberia.

Ormai in prossimità di via Krupskaja trovammo una vecchietta che, con energici colpi di scopa, tentava di arginare il torrente di fango che le inondava il portico.

“Un lavoraccio, eh?” dissi, tanto per attaccare discorso.

“Eh,” rispose “in primavera è sempre lo stesso strazio, viene giù tutto.”

Seguì un silenzio.

“Com’è la vita da queste parti?” le chiesi, ricorrendo alla domanda più stupida e banale, pur di non lasciar cadere il discorso.

La vecchia si raddrizzò, appoggiò le mani sul manico della scopa, mi guardò, fece perfino un sorriso e disse una frase che riassumeva l’essenza di vita russa: “come viviamo?” ripeté pensierosa e, con una voce in cui vibravano orgoglio, determinazione, sofferenza e gioia, aggiunse “respiriamo”!

 

Com’è stata la vita di Stoliarov dopo quel titolo in Davis? Respirava, inerme, con la racchetta in mano.

(con la collaborazione di Salvatore Greco)

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