Alzo lo sguardo e vedo, due file sopra di me, quel maestro romano di cui non ricordo il nome mai il nome. Mi indica, stringe il pugno. Più indietro c’è un tizio vestito come un tennista anni ’70, racchetta di legno al suo fianco, i capelli lunghi e incolti; parla ad alta voce, elargisce consigli. C’è chi lo guarda e sorride, ma sono quasi tutti concentrati su altro. Sul campo. Sono passate già due ore, sul Pietrangeli, e pian piano, guardandomi intorno, noto che i volti conosciuti sono tanti, sempre di più. Il Foro Italico è così, da sempre. Sembra di essere tra sconosciuti, ma non è così. C’è chi mi guarda, con il volto esausto, stravolto dalla tensione; chi si fa riconoscere, dalla parte opposta del campo, alzando la mano a un cambio campo. ‘Ci sono anche io’ – sembra comunicare da metri di distanza – ‘sto assistendo anche io a tutto ciò’. Ma soprattutto ci sono le persone accanto a me, che mi strattonano, urlano, in preda alla gioia più sfrenata. E poi all’ansia. Alla paura. Vi è una miriade di occhi ricchi di esaltazione e di incredulità. ‘Ma che cosa sta accadendo?’, sembrano chiedersi tutti. Le luci si accendono, il sole è tramontato. In piedi, con alle spalle le statue del Pietrangeli, almeno tre file di persone. Tutte su di giri.
È un’esperienza collettiva indimenticabile, è Seppi contro Wawrinka, sono gli ottavi degli Internazionali d’Italia 2012, è Andreas che entra definitivamente nel cuore del pubblico italiano. Quasi tre ore e mezzo di battaglia, sei match point annullati, il Pietrangeli che perde il controllo minuto dopo minuto. È visibilio totale. Chi c’era, sa. Chi non c’era, può solo immaginare.
Quel match ha rappresentato lo spartiacque tra l’Andreas Seppi giocatore encomiabile e stimato da (quasi) tutti e il ‘Seppio’ che fa emozionare, lasciando trasparire ogni proprio sentimento. È il match che della maturità tennistica, è la sfida che lo porta di diritto nella storia del Foro Italico.
Vi sono partite che rimangono nella memoria. La vittoria su Nadal a Rotterdam, il clamoroso successo contro Federer in Australia, la semifinale ad Amburgo, le battaglie di cinque set negli Slam, i tre titoli ATP. Ma nella mia, di memoria, ve ne sono altre. Al Foro, parecchi anni prima, vi era stato il battesimo del fuoco.
È il 2004, Andy ha 20 anni, ha ricevuto una wild card, ed è impassibile. A tutto, sempre. Affronta Lleyton Hewitt. Vince il punto, silenzio. Perde il punto, silenzio. Non traspare nulla. È una sfida che si disputa in due giorni, causa pioggia. L’interruzione arriva sul 7-5 3-3 per Andreas, che finirà per perdere il giorno dopo 5-7 7-5 6-3. Arriva la sconfitta, ma la sensazione è di avere di fronte un ragazzo dal sicuro avvenire. E così sarà.
Sessantasei Slam consecutivi in main draw sono un record pazzesco, di cui si è parlato e si parla troppo poco. Settecentoquarantotto le settimane tra i Top-115 del mondo. 748! Praticamente 14 anni nel gotha. Oltre 800 i match ATP disputati. È mancato l’acuto in un Major e quel quarto di finale, troppe volte mancato di un soffio, rimarrà un grande rammarico. Andreas Seppi non è stato, però, un tennista normale, nemmeno per sogno: i suoi comportamenti encomiabili non devono portare fuori strada e far minimizzare ciò che Andy ha conquistato con il lavoro, la professionalità (senza mai cambiare coach, una rarità!) e il talento. Senza mai fare troppo rumore.
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