Roger, Novak e gli altri: quando il tennis incontra la beneficenza


di Giulia Rossi

Nell’immaginario collettivo il tennis è stato sempre considerato uno sport elitario, per ricchi, praticato e seguito da una ristretta cerchia di facoltosi borghesi perbenisti. Negli ultimi due decenni però i protagonisti ai vertici delle classifiche non di rado provenivano da famiglie normalissime, alle prese con gli inevitabili sacrifici incontrati nel sostenere un figlio benedetto dal talento. Chi è riuscito poi ad emergere e a godere degli onori della gloria, si è ritrovato tra le mani una straordinaria disponibilità pecuniaria ai limiti dell’immaginabile, sotto forma di montepremi, sponsor o merchandising.

Fortunatamente, come accade in larga misura tra gli sportivi di ogni sorta, parecchi non hanno scordato le loro origini né la consapevolezza di essere dei veri privilegiati: di tutta questa sovrabbondanza alcuni si sono volentieri privati, destinando parte dei loro guadagni a iniziative benefiche, se non alla creazione di personali fondazioni che ne direzionano i ricavi.

Una settimana dopo aver lasciato Church Road senza alzare il trofeo del vincitore, Roger Federer atterrava in Malawi, nell’Africa sudorientale, dove la sua fondazione collabora ormai da 4 anni con Action Aid per la creazione di centri assistenziali infantili, cercando di garantire istruzione e cure in uno dei paesi più poveri del mondo, dove un bambino su due tra i 18 e i 23 mesi di vita soffre di grave malnutrizione.

Accolto da una folla festante di bambini al limite tra l’incredulo e lo stranito, Roger appare nelle foto postate sul suo profilo Twitter placidamente sorridente, con la serafica serenità di chi sa di aver già cambiato le vite di 285.000 bimbi dell’età dei suoi figli. Dal 2011 infatti il campionissimo ha generosamente elargito tramite la sua fondazione ben 13,5 milioni di dollari, destinati alla costruzione di scuole materne e al rafforzamento di strutture per l’infanzia già esistenti in Namibia, Zimbabwe, Malawi, Sudafrica, Botswana, Etiopia e Zambia, prefiggendosi di arrivare ad aiutare un milione di bambini entro il 2018.

Ma Roger Federer non è il solo esempio di encomiabile magnanimità tra i tennisti presenti e passati.

Anche Novak Djokovic ha una fondazione a suo nome di cui è orgogliosamente responsabile la moglie Jelena, inesauribile promotrice di cene ed eventi benefici atti al fundrising. Il numero 1 del mondo lo scorso anno ha devoluto l’intero montepremi del torneo di Roma a favore degli alluvionati in Serbia, ma sono innumerevoli le volte in cui la sua contagiosa allegria ha animato match organizzati nel circuito per beneficenza, l’ultimo dei quali a maggio durante gli Internazionali, palleggiando tra gli altri con Francesco Totti. A pochi giorni di distanza si è svolto presso il Circolo Canottieri Aniene il Panatta Invitational, torneo di doppio a 16 coppie a cui anche quest’anno hanno preso parte tantissimi personaggi dello sport e dello spettacolo. Giunto alla terza edizione, è promosso tra gli altri da Banca Generali che ogni anno compie una donazione a favore dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Celeberrima è ormai la determinatezza con cui Andre Agassi, sostenuto dalla sua dolce metà Steffi Graf, testimonia l’importanza dell’istruzione come fondamentale deterrente alla microcriminalità giovanile e all’abuso di sostanze stupefacenti durante l’adolescenza. L’ex bad boy Agassi, che ha sempre dichiarato di aver sofferto la mancanza di un’educazione regolare, ha istituito nel 1994 la “Andre Agassi Foundation for the Education”, attraverso cui è riuscito a raccogliere ad oggi oltre 180 milioni di dollari e che nel 2001 si è imposta come mission la costruzione di 75 scuole negli USA (al momento sono 39 già attive), a partire dalla sua problematica Las Vegas, nell’ambizioso tentativo di strappare i giovani burrascosi dalla strada e seguirli dall’elementary all’high school.

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Persino l’algida Maria Sharapova non si è mai tirata indietro quando si è trattato di aiutare il prossimo. Forse molti non sanno che una parte del ricavato dalla vendita delle golosissime Sugarpova (prezzo 5 euro a pacchetto) è destinato direttamente alla fondazione che porta il suo nome. Ma non si tratta solo di fare del bene vendendo caramelle. Nel 2007, ad appena 20 anni, è diventata ambasciatrice di buona volontà dell’ONU ed assieme al dipartimento speciale per lo sviluppo collabora ad una serie di progetti umanitari rivolti soprattutto alla martoriata area intorno a Chernobyl, regione da cui la sua famiglia è originaria e in cui si trovava al momento del disastro nucleare del 1986. Una donazione di 100.000 dollari finalizzata a otto progetti di sostegno per le popolazioni colpite in Bielorussia, Russia e Ucraina è stata effettuata appena ricevuta la nomina e altri 250.000 dollari sono stati stanziati tre anni dopo per lo sviluppo dello sport e il sostegno dei bambini sempre nell’area contingente a Chernobyl.

Sempre molto attiva è la Elena Baltacha Foundation, che porta il nome della sfortunata tennista britannica morta di cancro al fegato nel maggio dello scorso anno, a soli 30 anni. La fondazione si occupa della raccolta fondi a favore della ricerca sul cancro e lo fa anche grazie alla collaborazione di amici e colleghi di Elena, n.1 del tennis inglese per tre anni: il “Rally for Bally” è un incontro esibizione che viene organizzato dallo scorso anno nei tornei AEGON (Queen’s, Birmingham, Eastburne) e i cui proventi vengono divisi tra la fondazione e l’accademia tennis istituita Baltacha, che cerca di coronare il sogno di quei bambini che non possono giocare a tennis o andare a scuola. Tra i tennisti in attività e non che ne hanno preso parte spiccano: Andy e Jamie Murray, Marion Bartoli, Tim Henman, Martina Navratilova, Petra Kvitova, Greg Rusedski, Agnieska Radwanska.

In generale, la disponibilità dei tennisti verso le raccolte fondi e le iniziative benefiche mirate è sempre stata a dir poco proverbiale, fino al caso estremo di Andrea Jaeger, ex tennista americana, oggi felice suora dominicana. Andrea era una giovanissima predestinata del tennis dalla oscillante treccia bionda, tanto talentuosa da raggiungere il numero 2 del ranking nel 1981, frapponendosi all’egemonia di Navratilova ed Evert. Vittima anch’ella di un padre-padrone come tante altre stelline precoci, arrivò a giocare due finali Slam, a Parigi nell’82 e a Londra nell’83, schiacciata entrambe le volte dalla Navratilova. Ebbene, neppure ventenne Andrea si infortuna irrimediabilmente alla spalla e decide di abbandonare il mondo del tennis, immolando la sua esistenza prima ai bisognosi e poi a Dio. Destina quindi tutti i suoi guadagni (circa 1,5 milioni di dollari) alla creazione di una sua fondazione che dagli anni ’80 si occupa di bambini poveri e ammalati, e successivamente matura la drastica scelta di prendere i voti nel 2006.

Le vie della beneficenza tennistica sono davvero infinite. E speriamo contagiose. Ad Maiora.

 

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