Che fine ha fatto Gianluigi Quinzi? Il giovane marchigiano è sparito dai radar dal torneo challenger di Medellin, disputatosi a inizio ottobre. I quesiti e i dubbi degli appassionati non sono però scemati, anzi, l’interesse verso l’ex numero del mondo junior è più vivo che mai.
Dopo i challenger sudamericani Quinzi si è trasferito negli Stati Uniti per allenarsi nella sua vecchia casa, Bradenton, all’accademia di Nick Bollettieri. È insolito vedere il marchigiano, da sempre stakanovista a livello di tornei e match disputati, lontano dai campi e dalla competizione. Quinzi è un animale da tennis, un lottatore, un giocatore che ha bisogno del torneo, della vittoria, che senza fa fatica a trovare le giuste motivazioni. Ma questa volta l’attesa è necessaria, quasi inevitabile.
Oggi Quinzi è nelle Marche, a casa sua, ad allenarsi. La scelta del nuovo coach, fino a pochi giorni fa ancora un punto interrogativo, deve essere ponderata con grande attenzione, perché cambiare allenatore ogni tre mesi non è ammissibile, nel tennis come in qualsiasi altro sport. L’obiettivo è chiaro: capire cosa si vuol fare nel prossimo futuro, ragionare, trovare le giuste motivazioni (se ci sono), ricaricare le pile (mentali più che fisiche) e intraprendere una strada in cui si crede fermamente.
Alcuni non ritengono Quinzi un potenziale giocatore da Top-30 (perché quella deve essere l’ambizione, non certamente il numero 1 del mondo), altri nemmeno un possibile Top-100. La verità è che Gianluigi è stato sino ad ora fermato da due fattori: 1) la pressione del futuro campione che l’Italia aspetta da anni. 2) Un difficile rapporto con la maggior parte dei coach che hanno lavorato con lui, “impreziosita” dall’essere restio a cambiamenti tecnici. Ma le potenzialità sono comunque molto molto interessanti, come sottolineano da tempo alcuni allenatori di alto livello (anche non federali), italiani e non.
Gianluigi Quinzi deve capire cosa vuole fare “da grande”, senza eccessiva fretta e senza particolari pressioni. Se è vero che l’Italia aspetta da anni il suo campione al maschile, è altrettanto chiaro che deve essere il marchigiano a capire se c’è la voglia di ripartire (quasi) da zero, di mettersi in discussione. Se così non fosse non lo si dovrà criticare, bensì comprendere, augurandogli il meglio per una vita lontano dal tennis. La sensazione è che tornerà, con motivazioni più forti di prima, ma certamente non per smentire i critici (e i famosi leoni da tastiera). Perché bisogna lottare per se stessi in questo sport, ignorando il più possibile tutto ciò che ruota intorno a questo folle circus sportivo e mediatico. Deve giocare per sé e non per gli appassionati, deve giocare per sé e non per la federazione, deve giocare per sé e non per la famiglia. Diventare grandi è anche questo.
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