di Salvatore Greco
Esiste un vecchio adagio russo, risalente ai fasti imperiali dello zar Nicola I quando la Polonia era stata spartita dalle potenze vicine e soprattutto dall’Impero russo, che suona quasi come una filastrocca e dice più o meno “Kurica nie ptica, a Pol’ša ne zagranica”, vale a dire: “la gallina non è un uccello e la Polonia non è terra straniera” e se la gallina non vola non si capisce perché la Polonia si ostini a voler essere qualcosa di più di una provincia del glorioso impero russo.
Non basta certo una frase a riassumere secoli di rapporti geopolitici complessi e a volte tragici, ma in queste parole si condensano l’arroganza imperialista del gigante russo e l’orgoglio identitario della Polonia che certo non ci sta a farsi raffigurare come il giardino di casa di nessuno; sentimenti, questi, che superano le epoche storiche e che nel tempo hanno cambiato forme e dimensioni, ma che in campo sportivo regalano alle sfide contorni simbolici del tutto impossibili da ignorare.
In tal senso, il sorteggio del primo turno di Fed Cup ha accompagnato le sorti simboliche proprio in questa direzione: come ormai è noto da tempo, la Polonia appena rientrata nel World Group affronterà al primo turno proprio la Russia in casa, sfida che sul piano tennistico si prospetta ostica anche per via del probabile ritorno di Maria Sharapova lanciata in ottica olimpica e che sul piano evocativo ha il peso di una storia di oppressione e superbia.
Proprio su questo secondo punto però la federtennis polacca ha fatto una scelta coraggiosa e che potrebbe ripagare: ha deciso infatti di giocare la sfida nella prestigiosa cornice della Kraków Arena, il modernissimo impianto da 18.000 posti che ha ospitato parte dei mondiali di volley maschile, vinti proprio dalla Polonia. Se si riuscisse a riempire lo stadio di tifosi, per le ragazze capitanate da Tomasz Wiktorowski sarebbe uno stimolo notevole in più: un palcoscenico di quelle dimensioni e la fresca evocazione di una vittoria potrebbero rappresentare il proverbiale uomo in più in campo di calcistica memoria, fondamentale per venire a capo di una sfida che, al netto del “semplice” raggiungimento della semifinale avrebbe il gusto indescrivibile della rivalsa storica.
Tutto il mondo del tennis polacco sembra già proiettato sulla sfida e la campagna per riempire l’Arena, vivace e dai toni epici, passa anche dalla beniamina di casa, ovviamente Agnieszka Radwańska. Proprio Aga di recente ha pubblicato su facebook e twitter il flyer dell’evento per spingere i suoi tifosi, in patria e magari anche fuori, a riempire gli spalti per i due giorni di Fed Cup più importanti della storia recente del tennis polacco, e non è un esagerazione s e si pensa che la nazionale in gonnella è assente dal World Group addirittura dal 1994.
Il fattore tecnico per la Polonia sarà quasi proibitivo con Alicja Rosolska, Paula Kania, Katarzyna Piter e la minore delle sorelle Radwańska, Urszula, candidate ad affiancare Agnieszka contro una squadra come quella russa che, seppure in crisi e a ranghi ridotti, è in grado di esprimere oggi tenniste del livello di Ekaterina Makarova ed Elena Vesnina se non addirittura Maria Sharapova. Servirà molto far valere il fattore psicologico, riavere l’arena piena come durante il mondiale di volley e sperare in un trasporto di quel genere anche se la popolarità della pallavolo in Polonia è fortissima da decenni e lo stesso non si può dire di quella del tennis. È pur vero, d’altro canto, che l’occasione di potersi confrontare con lo scomodo e poco amato vicino potrebbe spingere molti più spettatori di quanti normalmente ne attrarrebbe una partita di tennis ad accorrere e fare il tifo perché è pur sempre Polonia contro Russia.
E se poi il braccio dovesse tremare lo stesso, in uno stadio pieno di tifosi e di orgoglio, le tenniste di casa potranno pensare a una cosa in più: cioè che nella tribolata storia della loro nazione, al tempo della Polonia spartita, Cracovia e la sua regione finirono sotto il controllo austro-ungarico, ben lontane quindi dalle grinfie degli zar. Varrà poco, certo, ma potrebbe servire a qualcosa, nelle incredibili situazioni mentali che si creano quando il tennis diventa sport di squadra, pensare che, nonostante tutto, lì dove ora sorge la Kraków Arena e nel raggio di chilometri e chilometri non si è mai parlato russo.
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