di Roberto Commentucci
E’ un giorno triste, tristissimo per il movimento tennistico italiano. Se ne è andato a nemmeno 60 anni, colpito da una malattia terribile, la Sclerosi Laterale Amiorfica, Robertino Lombardi da Alessandria.
Il migliore, il più grande esperto e studioso di tennis nel nostro paese. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile nel tennis italiano e nei quadri della nostra Federazione.
Giocatore professionista di buon livello, molto rapido e tatticamente intelligente, con un ottimo rovescio, Roberto aveva nel fisico esile e nella scarsa potenza il suo principale limite. La sua grande volontà gli ha però consentito di arrivare ad essere numero 221 del mondo, numero 6 d’Italia e due volte finalista ai campionati italiani assoluti, nonché di superare avversari di buon nome come l’ungherese Balasz Taroczy e l’inglese Buster Mottram.
Tuttavia, non c’è dubbio che il meglio di se Roberto lo ha dato dopo la conclusione della sua carriera.
Come giornalista e telecronista (indimenticabili le sue cronache su Telepiù, con i grandi Tommasi Clerici e Scanagatta) ha educato al tennis almeno due generazioni di appassionati, coniugando rigore tecnico, arguzia, simpatia, presenza di spirito e grandi capacità divulgative e comunicative.
Come tecnico nazionale (nel centro federale di Riano) ha forgiato e poi seguito sul circuito alcuni dei migliori talenti che il nostro tennis ha prodotto dopo l’era Panatta. Robertino ha costruito e allenato gente come Canè, Camporese, Nargiso, tutti tennisti la cui eccellenza tecnica (i problemi erano altri…) testimonia con chiarezza le sue grandi qualità di allenatore.
Ma soprattutto, negli ultimi 10 anni, come Direttore della Scuola Maestri, Robertino ha inseguito un sogno: porre rimedio alla più grossa lacuna del nostro tennis, ovvero la mancanza di un metodo di insegnamento e di impostazione dei giocatori unico e condiviso, adottato da Palermo a Bolzano. In altre parole, la creazione di una autentica “scuola italiana”, la grande assente nel panorama tennistico mondiale, dove come sappiamo dominano la scuola spagnola, quella ceka, quella argentina, quella francese, quella russa, ma dove i giocatori italiani sono impostati “ciascuno a suo modo, a seconda delle mode del momento e dei capricci del primo maestro”, per dirla con le sue stesse parole.
Roberto si è accinto a quest’opera – davvero titanica, per un paese sostanzialmente anarchico e refrattario alle regole come il nostro, nel quale proliferano i venditori di fumo e gli apprendisti stregoni – cercando di far valere la sua arma migliore: l’intelligenza.
Quella viva intelligenza che lo ha portato a laurearsi in matematica, e ad approfondire discipline come la fisica e la biomeccanica. In questo modo, ha potuto basare i programmi della Scuola, da lui diretta, su solide e rigorose basi scientifiche, fino a pervenire ad una metodologia didattica chiara ed esaustiva, e soprattutto riproducibile, utilizzabile da tutti i maestri formati dalla sua Scuola.
I critici, gli incapaci, quelli della vecchia guardia, lo accusavano di dogmatismo, di omologazione, e in questo rivelavano tragicamente la loro inadeguatezza.
Roberto infatti non predicava affatto l’omologazione del gesto tecnico, non voleva che tutti imparassero a tirare il diritto nello stesso modo. Al contrario, secondo lui il maestro doveva acquisire la capacità di scegliere per ciascun allievo il gesto più vantaggioso, fra le varie alternative tecniche a disposizione, in relazione alle diverse caratteristiche fisiche, tecniche, coordinative e attitudinali dell’allievo. Caratteristiche che il maestro deve essere in grado di capire e interpretare.
Concetti che all’estero sono da tempo patrimonio comune, e che da noi fino a qualche anno fa sembravano fantascienza.
Per questo l’eredità che Roberto ci lascia è straordinaria.
Così come è straordinario l’esempio che ci ha dato nel modo di affrontare la lunga, estenuante lotta contro la malattia. Ha cercato ostinatamente, con grande coraggio, di ribellarsi al Fato, lavorando fino all’ultimo giorno o quasi, come se nulla fosse, continuando a registrare, su Supertennis, la sua rubrica “Colpo da Campione”, nella quale diffondeva a piene mani, con la consueta generosità, tesori di conoscenza e di cultura tennistica.
Tesori tanto più preziosi in un paese come il nostro, dove approssimazione e ignoranza dominano a tutte le latitudini.
Ma i semi che ha ostinatamente piantato, prima o poi inizieranno a mettere frutti.
Addio Robertino, e grazie di cuore per tutto quello che hai fatto. Ci mancherai, e non sai quanto.
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