di Sergio Pastena
Parliamo di cambiare vita. La paura del cambiamento è una cosa ben nota, che nel corso della storia ha rappresentato una lauta fonte di guadagno per generazioni di psicologi: c’è gente che va in crisi esistenziale anche se deve cambiare marca di saccottini, altri che vanno in difficoltà nei vari snodi della propria vita (iniziare l’università, trovare un lavoro, andare in pensione etc) e c’è infine chi il problema lo sente solo quando è effettivamente grosso. Ad esempio, per gli sportivi non è facile.
Quanti calciatori, appesi gli scarpini al chiodo, sono stati letteralmente devastati dal cambiamento? C’è da comprenderli: passi dal saluto di 75.000 persone all’Old Trafford a quello del tuo giornalaio ogni mattina, non è cosa da poco. Non per caso tanti tra i giocatori più forti (specialmente le “bandiere”), se non hanno talento da allenatore, pur di rimanere in qualche modo nel giro, accettano ruoli manageriali improbabili creati giusto per mettere un cognome su una poltrona.
Per quanto sembri strano, però, c’è chi prende la fine come un nuovo inizio e cambia tutto, si dedica a qualcosa di completamente diverso. Il primo esempio che viene in mente, pensando all’Italia, è quello di Sergio Tacchini: ex campione italiano e Davisman, quasi 50 anni fa ha fondato una società di abbigliamento sportivo che è diventata un pezzo da novanta nel proprio settore. Un buon esempio, ma ancora “parziale”, perché in qualche modo legato al mondo del tennis. Proviamo a dare un occhio a qualche altra storia, specificando da prima che non vogliamo essere esaustivi: l’idea è solo di raccontare qualche caso di chi, da un giorno all’altro, è passato dal tennis a qualcosa che c’entrava poco o niente.
E chissà che il tennis stesso, sport che da sempre educa alle sfide, non abbia comunque i suoi meriti…
La ruota è quadrata
Con un best ranking non lontano dal numero 100 e qualche scalpo importante in carriera (spiccano Gonzalez, Calleri agli Australian Open e un giovanissimo Nishikori), Zack Fleishman non può lamentarsi troppo della sua carriera. Ex top 20 juniores, un mezzo milioncino portato a casa tra una cosa e l’altra e magari qualche sponsor a coprire le spese: c’è di peggio. Dopo aver tentato un ritorno nel 2011, reduce da un grave infortunio, e aver perso tra gli altri da un giocatore della Sierra Leone, Zack deve aver realizzato che il tennis, a 31 anni, non era più cosa per lui. Bisognava fare altro.
“Facile a dirsi- penserete voi- cosa fa, inventa la ruota?”.
Esatto, inventa la ruota. Non lui, a dire la verità, ma tale David M.Patrick, che viene presentato a Fleishman e gli mostra una ruota dalla forma vagamente quadrata e dai bordi a forma di serpente. Il 99% delle persone sorriderebbe come si sorride a un pazzo e scapperebbe via ma Zack, che si definisce “Ossessionato dalla scienza”, inizia a pensarci e capisce l’idea e il mercato. Una ruota rotonda, infatti, pur garantendo massima velocità ha poco grip: prendi un sasso e rischi di volare per aria. La shark wheel, invece, avendo i bordi “irregolari” quando incontra un ostacolo di grandezza ragionevole è come se lo calciasse via. Un effetto simile al vecchissimo gioco delle pulci. Adattissima per praticare determinati sport o per viaggiare su terreni particolarmente accidentati.
Fleishman investe e oggi la Shark Wheel è un’azienda solida di cui lui è capo delle operazioni. E per non farsi mancare niente ha lo stesso ruolo nell’azienda 4sphere.com, che produce turbine eoliche speciali. Perché speciali? Perché anzichè avere le pale… sono rotonde! E giocando sulle forme strane Zack ha rapidamente messo alle spanne il mondo del tennis.
Morto e Resort
Se le imprese dell’ancor giovane Zack fanno sperare in un luminoso futuro, quelle di David Lloyd sono una consolidata realtà.
Chi era costui? Riassunto breve: tennista fino al 1981, un best ranking al numero 40 nel doppio con una semifinale a Wimbledon e varie apparizioni nella squadra di Davis britannica, abbattendo (sempre in doppio) gente come Nastase, Orantes, Smid, Feigl e il nostro Panatta. Non male, David, non male.
Giocata l’ultima partita a 33 anni suonati, Lloyd fa un tentativo come coach ma capisce subito che vuole fare altro. E così si inventa dal nulla i centri “David Lloys Leisure”. Cosa sono? Sono centri dedicati alla salute, che permettono di combinare vacanze e sport e sono orientati in particolare alle famiglie, fornendo attività differenziate con una strizzatina d’occhio (ci mancherebbe altro) al tennis.
Non suona originale, vero, ma nel 1982 lo era eccome: all’epoca quello che più si avvicinava al concetto di “sport in vacanza” erano i balli di gruppo in qualche villaggio turistico sperduto. Partendo dai centri e passando per varie innovazioni e perfezionamenti, in poco più di dieci anni Lloyd apre 18 centri ed ha un successo strepitoso, al punto che quando decide di vendere la Whitbread PLC deve sborsare ben 200 milioni di sterline per prendere tutto il pacco.
Nel 2007, a un passo dai sessanta, il buon David riacquista la sua compagnia e lancia una serie di club di nuova generazione. Rivende ancora nel 2013, quando i club sono diventati 88 e sono diffusi in tutta Europa, e non sapendo star fermo fonda la “David Lloyd Resorts”. Dando un occhio al sito web, verrebbe la voglia di trascorrere un mesetto in uno di quei gioiellini: ad averci i circa 35.000 euro necessari per l’affitto mensile, chiaramente.
E se qualcuno dubita che tutte queste operazioni abbiano dato i suoi frutti, sappia che nel 2007 Lloyd, innamoratosi delle opere del “microscultore” Willard Wigan, ha comprato tutta la sua collezione per undici milioni di sterline.
Brahma di potere
A questo punto il prossimo della lista dovrebbe essere Ion Tiriac, il primo miliardario (in Euro) della Romania, il fondatore della prima banca privata del post-comunismo, uno dei mille uomini più ricchi al mondo che è sempre rimasto attivo anche nel mondo del tennis. Chi meglio di lui rappresenta al meglio il tennista che si ricicla con successo?
Jorge Paulo Lemann.
Chiariamo subito che la banca non c’entra, quella è Lehmann con la acca in mezzo. E se Tiriac, volendo, potrebbe tranquillamente comprarci tutti e tenersi i soldi per le sigarette, Lemann potrebbe agevolmente comprare Tiriac, mettergli in mano una foglia di palma e assumerlo come sventolatore personale. Ma partiamo dal tennis.
Lemann, pur non avendo colto risultati di risonanza internazionale, qualche traccia nel mondo del tennis l’ha lasciata: ha giocato una volta a Wimbledon, due volte in Davis (una per la Svizzera e una per il Brasile, avendo doppia nazionalità) e a oltre 40 anni ha battuta un avversario rispettabile come Ricardo Acuna, cileno con punte nei Top 50 e all’epoca già comodamente avviato verso l’ingresso nei primi 100. Insomma, lo svizzero di Rio non era il nuovo Rod Laver ma neanche sta ciofeca, se è vero che in Davis ha pure strappato un set a Vilas.
Appesa la racchetta al chiodo, il primo pensiero è stato come far fruttare la laurea ad Harvard. Facile. Gavetta in Credit Suisse, fondazione di una società di investimento, entrata nel mercato delle private equities, acquisizione della Brahma (la marca di birra più popolare di tutto il Sud America), creazione del colosse delle bevande AmBev e un po’ di shopping compulsivo, portando a casa tra l’altro Burger King e la Heinz (sì, quella dei fagioli e del ketchup).
Una cosa facile facile, roba che basterebbe Muciaccia.
Al momento, tra le altre cose, la società di Lemann produce Stella Artois, Beck’s, Budweiser e Lowenbrau, oltre ad avere l’esclusiva per la distribuzione del Bacardi e, tanto per non trascurare gli astemi, della Monster. Insomma, ogni volta che vi ubriacate e ridete con gli amici, ride anche questo 76enne che al momento è la trentunesima persona più ricca sulla faccia della terra.
Sì, nel suo caso fare il coach di tennis non sarebbe stata la scelta migliore.
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