Giovedì 19 maggio 2022, ora dell’aperitivo. Alzi la mano chi, in occasione del sorteggio dei tabelloni principali del Roland Garros, non è andato subito a controllare da che parte fossero finiti “quei due”. I due sono Novak Djokovic, numero 1 del mondo e probabilmente il più forte giocatore della storia e Rafael Nadal, colui che tra un record di precocità e l’altro ha spiegato al mondo intero cosa significhi dominare su una superficie e non solo. Eccoli lì, ai quarti. Ahia!
Gli anni passano ma loro restano, sebbene sempre più in compagnia di una “simpatica gioventù scapijata” (così avrebbe definito la ‘Next Gen’ il simpatico Don Buro di Vanziniana memoria). Sulla strada che li ha portati per l’ennesima volta a guadagnarsi un posto tra i migliori otto dello Slam parigino hanno schivato insidie e lanciato messaggi. A modo loro, come sempre. Rafa lo avevamo lasciato nella sala stampa degli Internazionali BNL d’Italia, lucido fuori e morto dentro dopo la sconfitta negli ottavi con Shapovalov. Ora è qui, nei quarti e ci è arrivato con un piede solo senza mai farsi mancare l’occasione per sottolineare come ormai “ogni volta potrebbe essere l’ultima”. Nole non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle quegli strampalati mesi di inizio stagione, magari con il (solito) proposito di dimostrare a tutti che è sempre lui l’uomo da battere.
Prendere un’epoca, un’epoca intera e segnarla. Nadal e Djokovic lo hanno fatto ma a sentirli parlare sembra quasi che non se ne siano accorti. “Il numero 1? La verità è che per me è soltanto un numero. Non mi sono mai svegliato pensando di essere numero 1, numero 5 o numero 100 del mondo”, ha detto uno. “In ogni sport arrivare a essere il migliore di tutti è la più ardua delle sfide. Mi sento onorato di essere stato in vetta così tanto tempo, in particolare in un’era con Roger Federer e Rafael Nadal, due che hanno fatto la storia”, ha risposto l’altro.
Anni fa mi trovavo a Roma, sugli spalti del Campo Centrale, per assistere al 32° confronto diretto tra i due mostri. La pioggia della domenica costrinse gli organizzatori a spostare la finale nella tarda mattinata del giorno successivo. Nadal vinse in due set, addentando così il trofeo per la sesta volta, ma non è questo il punto. Lasciando sconsolato il Foro Italico sotto l’alluvione domenicale, mi ritrovai a riflettere (e con le scarpe zuppe, vi assicuro, vengono fuori riflessioni incredibili) sulla grandezza di questi due esseri umani, di questi due eroi. Arrivato dall’altro lato del ponte Armando Trovajoli (noto ai più come Ponte della Musica), ricordo di essermi fermato. In un attimo ho pensato alle loro prime volte, alla tensione prima di un match e all’idea di cosa possa essere sbucare dal tunnel e sentirsi gli occhi addosso di oltre 20 mila persone. Ci ho pensato perché troppo spesso, forse, non ci rendiamo conto della disinvoltura con la quale si siano abituati a farlo.
Storie diverse, personalità diverse. Di splendido c’è che come accade sempre nelle più belle rivalità sportive, un intero popolo di appassionati ha impiegato un amen nel rivedersi in loro e nel difendere il proprio beniamino contro tutto e tutti, nemmeno fosse un parente. Qui si va oltre un passante sulla riga o un recupero impossibile dopo uno scambio da trenta colpi. Gli eroi sono tali soprattutto perché nessuno, più di loro, è in grado di realizzare i nostri sogni. In ballo c’è una cosa preziosa come le emozioni e chi le svilisce, chi pensa che noi siamo da una parte e loro dall’altra, commette il più madornale degli errori.
Loro festeggiano, piangono, si arrabbiano e si esaltano. Proprio come noi, che ci siamo lasciati influenzare una settimana intera dopo una delusione cocente in uno Slam, magari mancando un paio di match point.
Capitolo 59, allora, e sia. Sarà una di quelle sere in cui ricorderemo dove eravamo e con chi. Godiamocela, al resto ci pensano gli eroi.
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