Sette anni.
Sono passati esattamente sette anni da quel maledetto 25 ottobre 2008, il giorno in cui è morto Federico Luzzi. Due settimane prima lo avevo visto battersi come un leone, giocando peraltro malissimo, contro Alessandro Accardo in Serie A nella sfida tra Tc Parioli e Torres. Questa era una caratteristica dell’aretino che, anche in giornata “no”, provava in tutti i modi a far girare il match. Quando il talento non dava una mano, era la grinta a prendere il sopravvento. Come nel match contro Accardo, vinto 6-4 5-7 7-5.
E’ proprio questa peculiarità che voglio mettere in risalto, perché senza un vero e proprio motivo non faccio che pensare, in queste ore, alla sfida persa contro Teimuraz Gabashvili al Foro Italico l’anno precedente. Troppo facile ricordare la stupenda vittoria al primo turno di qualificazioni contro Kriston Vliegen, durante la quale aveva messo in mostra tutto il meglio del suo repertorio, dalla prima di servizio alle famose “luzzate”.
Il giorno dopo Federico si giocò l’accesso al tabellone principale degli Internazionali BNL d’Italia 2007 contro il folle Teimuraz, che nel primo set tirò cassapanche e comodini come se piovessero. Solo righe, solo vincenti. Luzzi non riusciva a tenere testa al russo, come si dice in gergo lettaralmente “ingiocabile”. Anche il secondo set si stava sviluppando nella medesima maniera quando, d’un tratto, la partita girò. “Fallo un numero, dai, almeno uno!” – continuava a ripetere Federico, incredulo di fronte al proprio tennis così poco brillante. Come è girata dunque quella sfida, seppur persa 6-1 7-5? Impossibile da spiegare. Semplicemente Luzzi ha deciso che non poteva mollare, nonostante le “luzzate” non dessero segni di vita. Semplicemente Luzzi.
Ricordo che incontrai Federico in uno stand poco dopo il match. “Ho giocato da C3” – mi disse, affranto, ma comunque con un sorriso, sincero, che raramente ho visto in un tennista appena sconfitto. Si, sarò banale, ma il sorriso di Luzzi era contagioso, ti rimaneva dentro, e ti portava a tifare per lui in ogni luogo del pianeta, dal vivo o tramite qualche maledetto livescore. Ma, come detto, per una volta non voglio parlare del talento di Federico, quanto del suo carattere vincente, da under 12 così come da proffesionista. Un carattere che lo poteva anche portare alla sconfitta, come contro Gabashvili, ma che gli permetteva di rimanere attaccano all’avversario con le unghie e con i denti. Al Foro Italico contro “Gaba” o al Tc Parioli in Serie A contro Accardo. Perché per lui il tennis era questo: provare a vincere a tutti i costi, non importava dove e contro chi…
I pensieri, i ricordi, si affollano nella mente mentre scrivo. Dai primi meravigliosi set contro Nalbandian (Montecarlo) e Gaudio (Baires) al challenger romano del G2 dove l’ho intervistato la prima volta, sino al rientro a Todi pochi mesi prima di quel tragico 25 ottobre.
Un pensiero indelebile riguarda il giorno del funerale di Federico in quel di Arezzo.
Ricordo i sorrisi amari degli amici tennisti.
Ricordo alcuni giornalisti fare il proprio lavoro, alcuni nella maniera più giusta e corretta, altri no.
Ricordo più di ogni altra cosa le lacrime di una inconsolabile Flavia Pennetta, prima della messa, in un piccolo bar a pochi metri dalla chiesa.
E forse non è un caso che Flavia giochi il primo match del suo primo Master Wta (e ultimo torneo della carriera) proprio il 25 ottobre. Sette anni dopo la morte di Federico. Non conosco Flavia come conoscevo Federico, anzi non la conosco affatto. Ma ho come la sensazione che entrando in campo il primo pensiero sarà per il suo Fede, amico di una vita. Una vita che non c’è più, ma che non sarà mai dimenticata.
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