Caro dott. Tommasi, sono la mamma di un giocatore professionista del tennis italiano. Per carattere non amo mettermi in mostra a causa della mia indole piuttosto riservata e mai sono entrata nelle faccende puramente professionali di mio figlio, dunque il mio nome non le dirà nulla, tuttavia penso che Lei potrà identificarmi con una delle tante madri che da lontano e silenziosamente seguono i loro figli-giocatori da casa, attaccate allo schermo del computer, spesso seguendo un tabellone live-score che singhiozza e s’inceppa facendoci sobbalzare sbuffando e maledicendo la tecnologia telematica.
La conobbi personalmente molti anni fa al Foro Italico, durante gli Internazionali di tennis, dove io ero una giovane addetta all’ufficio stampa e Lei già un affermato giornalista sportivo. La vidi persino giocare a tennis, mi sembra al circolo Parioli, e già allora, rimasi stupefatta ed ammirata dal fatto che, quello che appariva ai miei occhi un comune giocatore da circolo, potesse scrivere di tennis in modo così inflessibile. Sul Suo sito vedo scritto che invece Lei si definisce un “discreto tennista” con all’attivo quattro vittorie consecutive nel Campionato Universitario anni cinquanta..
Credo che chiunque abbia giocato a tennis, anche solo a livello di terza o seconda categoria, sia in grado di capire lo sforzo, il sacrificio, la volontà, la fatica, il lavoro, la rinuncia, la tenacia ed il sudore, che si nascondono dietro la prestazione vittoriosa o la sconfitta di un ragazzo così motivato da spendere i tre quarti della sua vita sui campi da tennis. Ma allora come è possibile, da giornalista e sportivo come Lei, esaltarsi e magnificare solo i giocatori tra le prime cinque posizioni nel mondo e gettare il disdoro sui nostri ragazzi, spesso usando nei suoi articoli parole di derisione, ed a volte un sarcasmo velenoso quanto negativo, senza contare i Suoi funebri annunci a grandi titoli su un “tennis italiano davvero ammalato”?
Lei che con il suo lavoro ha girato il mondo, certo sarà a conoscenza di come la stampa estera segua e blandisca i propri giocatori, sostenendoli e puntellandoli nei momenti di crisi e di difficoltà. A giovani giocatori che si affacciano appena nelle ultime posizioni del ranking ATP, viene offerta la possibilità di acquistare visibilità attraverso la stampa e la televisione essendo sospinti ed incitati dai mezzi di comunicazione e questa attenzione mediatica naturalmente serve loro da incoraggiamento per proseguire nel difficile ed impervio sentiero della rinuncia e dell’impegno sportivo.
Dileggiando i nostri giocatori italiani, perde completamente di vista il fatto che questi professionisti della racchetta sono per prima cosa degli uomini e delle donne che hanno il sacrosanto diritto al rispetto di persone che lavorano con solerzia ed applicazione e che hanno bisogno di molte cose, ma certamente non sempre della sua irriverenza distruttiva. E’ noto che le critiche quando sono costruttive aiutano nella crescita, ma non quando vogliono esclusivamente colpire: in questo caso hanno la sola finalità di avvilire e mortificare. Quando lei sentenzia che il doppio di coppa Davis Italia-Slovacchia perso dai nostri per 9-7 al quinto set contro due tennisti piazzati in classifica tra i primi 25 del mondo (da Lei definiti mediocri, ma in realtà specialisti proprio di questa disciplina), è stato lo spettacolo più deprimente che Lei abbia visto dai tempi di Galimberti-Navarra ( guarda caso altri due italiani), Lei non solo esprime una opinione del tutto personale, avvilisce i nostri giovani giocatori e l’impegno da loro speso in campo, ma nemmeno promuove con simili giudizi la buona salute del tennis italiano, né dimostra di avere preso le dovute informazioni sulle reali capacità dei nostri avversari, nell’urgenza di screditare la formazione italiana messa in campo dal capitano Barazzutti.
Lei non vede che “macerie” ovunque e sconsolato si aggira per i campi di tutti i circoli del mondo, in attesa del regalo di una gioia o di una soddisfazione che finalmente arrivi dai tennisti italiani, ma invano, e dunque, sempre più demoralizzato, scrive articoli dal sapore apocalittico ed inclini allo scoramento.
Umiliante, deludente, mediocre, patetica, sconfortante, amara, sono gli epiteti che Lei ama usare in riferimento alle prestazioni dei nostri tennisti. Non viene risparmiato nessuno, e secondo la Sua opinione anche i dirigenti della Federazione dovrebbero prendere atto della realtà dei propri giocatori “anziché nasconderla dietro patetiche affermazioni di compiacimento e di ingiustificata soddisfazione”.
Quando stiamo temendo di perderLa, finalmente sembra riprendere vita nel momento in cui può liberare l’entusiasmo represso scrivendo delle imprese di giocatori al vertice della classifica, confermando la Sua propensione a stare dalla parte del più forte.
L’esperienza mi ha insegnato che gli uomini burberi, nella maggior parte dei casi, hanno un animo gentile e se si riesce a superare il distacco che frappongono tra essi stessi ed il resto del mondo, rivelano poi il lato migliore del loro carattere, niente affatto scontroso, ma anzi sensibile e garbato.
Parafrasando dunque un Suo articolo, Le confesso che nemmeno io ho più l’età per scrivere una lettera a Babbo Natale oppure alla Befana, tuttavia penso che se mi fosse concesso di esprimere un desiderio, questo sarebbe la preghiera di abbandonare il metro di valutazione da Lei adottato per considerare i nostri tennisti italiani, di strapazzarli e rimbrottarli con severità, assumendo posizioni sprezzanti ed integraliste, giudicandoli con saccenteria e la penna affilata come una lama di coltello.
Mi auguro invece che Lei voglia affiancarli, difendendoli e tifando in modo spudorato per loro, in coppa Davis come nei tornei individuali, accogliendoli e spalleggiandoli con esortazioni incoraggianti, perché il tennis italiano ha bisogno anche del Suo appoggio.
In attesa di leggerLa nuovamente sulla pagina stampata, con atteggiamento più attento e benevolo, Le invio i miei più affettuosi saluti.
Elisabetta Di Lorenzo
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