Come succede molto spesso al nostro paese, la gogna mediatica fa da padrona sempre e comunque, e seppure a volte i motivi non risultino perfettamente chiari oppure ci sia indiscutibilmente ben altro a cui guardare, l’indole italica è quella di fungere da giudice, giuria ed esecutore, per rendere l’idea. La debacle della Nazionale azzurra in quel di Genova, 2-3 contro la Francia al primo turno di Fed Cup, lascia ben più del semplice amaro in bocca, bensì un’incredibile senso di impotenza che ha pervaso i salotti di tutta Italia durante la seconda decisiva giornata di gioco, giornata nella quale il soffice e caldo 2-0 del sabato si è sgretolato sotto i colpi delle tenniste francesi.
Le tanto dovute analisi del caso, primo se non unico pensiero di chi vuole assistere ai tanti colpi di grazia inferti a mezzo stampa, si sono sprecate dividendosi tra le gravi colpe del leone e la bravura della gazzella, e se è vero che le ragazze di Barazzutti non sono riuscite ad azzannare la preda, è altrettanto palese come le quotazione di Garcia e co. siano lievitate rapidamente con l’iniezione di fiducia data dal successo di Kristina Mladenovic su Sara Errani.
Col senno di poi, chiaramente, tutto è più facile ed evanescente, però se la catastrofe era evitabile anche le giuste considerazioni erano alla portata di tutti: Sara Errani, protagonista del primo importantissimo punto a tinte azzurre, non era evidentemente quella dei tempi migliori, e nonostante il successo seppure sofferto contro la brava Garcia, il predominio sul rosso non lo si è visto, con la finale Roland Garros e quella agli Internazionali d’Italia che sono sembrate molto lontane a giudicare dal gioco della bolognese. La Sarita nazionale è sempre stata una delle prede favorite per il tifo insoddisfatto, e tali traguardi raggiunti in carriera l’hanno messa giorno dopo giorno sempre più su di una graticola che le ha reso impossibile ogni sorta di passo falso, imponendole un rendimento che forse non è neanche quello che le appartiene in assoluto visto il suo gioco e le caratteristiche delle tenniste che si affacciano sul panorama della pallina gialla da qualche anno a questa parte. Camila Giorgi, da par suo, ha sfruttato l’onda lunga dei buoni risultati del 2014, anno della cosiddetta consacrazione, anche se a dire la verità nessuno può dire dove questa talentuosa ragazza possa arrivare: gli Open australiani hanno visto le sue quotazioni in deciso rialzo, soprattutto rispetto ad una Roberta Vinci che paga un calo fisiologico dato dall’età e dall’immensa mole di partite da giocare, con la consueta ricerca di punti in singolare la “necessaria” riconferma in cima al mondo in doppio.
Il sabato non qualunque, seppure italiano lo fosse stato, ha rivelato più connessioni con la domenica-Caporetto di quante potrebbero sembrare ad un primo semplice sguardo al punteggio: la Errani ha fatto valere l’esperienza contro una Garcia ancora non impeccabile, mentre la Giorgi ha spazzato via di forza una Cornet lontanissima dai suoi standard, tutto questo per portare un’Italia abbacchiata sul 2-0. La domenica è cominciata con testate importanti, la vittoria già in tasca e un pensiero alla Repubblica Ceca da affrontare in casa, eppure tutto è andato storto. Mauresmo sostituisce Cornet con Mladenovic, Mladenovic batte Errani, Garcia batte Giorgi e scacco al re. La saggia scelta del capitano transalpino, ovvero di puntare sulla freschezza e la voglia di mettersi in mostra della N.74 del ranking, ha pagato eccome, e per una Errani nervosa e non al top la montagna è apparsa insormontabile, mentre per la schiacciasassi Camila, già eroina per un giorno e “solita altalenante” appena 24 ore più tardi, gli ostacoli sono stati molti, dal cattivo feeling con il proprio gioco già evidenziato nell’intervista post gara e l’interruzione del secondo set che è sembrato mandarla ancora più in confusione, dando tutto il tempo alla Garcia di raccogliere le idee per agguantare il pari.
Il doppio è stato l’emblema dell’uscita azzurra, con Errani e Vinci già sopraffatte prima di scendere in campo, già nervose e atterrite in una rassegna che non sembrava già più di loro demanio; il tutto mentre Mladenovic e Garcia si sono spinte a 100 km/h per regalare al loro paese uno storico successo nel miglior modo possibile, in rimonta e di gran carattere, di forza e di volontà, lasciando le italiche colleghe a rimuginare su tutto o quasi e l’italiano sul divano a tirare fuori commenti a mezza bocca.
Già, perché le francesi se ne vanno felici e appagate da Genova, mentre il tennis italiano resta fermo a pensare al futuro, con i successi in Fed Cup di un passato prossimo che sembrano irripetibili o quasi, anche perché a guardare al ricambio generazionale c’è da preoccuparsi eccome. E’ stata da poco resa nota, tuttavia, la riforma della gestione dei giovani talenti da parte della Federazione Tennis, con il centro di Tirrenia che diventerà la punta dell’iceberg, lasciando per sempre quel ruolo da Samarcanda che non molto ha lasciato in termini di risultati, anche se certamente a giudicare ci penseranno organi decisamente più competenti, sicuramente più funzionali per tirare somme e risolvere problemi.
Eccoci alle parole magiche: il weekend di Fed Cup potrebbe quasi essere una manna dal cielo, anche al di là del semplice risultato negativo, dando la possibilità agli addetti ai lavori ed a tutti i tifosi in giro per l’Italia di correggere il tiro dalle recenti evoluzioni del pensiero comune, iniziando a badare allo sviluppo ed a un nuovo orizzonte piuttosto che salire e scendere dal solito carro ad ogni cambio di corrente. Sembra infatti che tutte le energie vengano spese per dare inopportuna pressione a chi fa appena capolino nel mondo “di sopra” del tennis, non curandosi della campale importanza di un fisiologico periodo di sviluppo e di crescita che necessita chiunque per imporsi ai più alti livelli. A partire dal controverso mondo del calcio, il fenomeno italiano dello sport tocca ben bene anche il tennis, perché a vent’anni inoltrati si è già in ritardo e a ventisette o si vince o si muore.
D’altra parte, forse a noi piace così, perdere e lamentarsi, perché magari siamo più portati a lasciare andare che a correggere la rotta, e magari a sperare nel campione che scappa fuori dal cilindro, manna ben diversa da quella che potrebbe rappresentare la sconfitta, come detto.
Cambiare, come sempre, sta a noi, e per arrivare a giocarsela nuovamente tutti insieme serve una nuova coscienza di cosa sia necessario per dare vita ad un ciclo vincente, duraturo per non dire inesauribile, con la necessità di valorizzare quanto fatto fin qui ma badando bene a non sciupare tutto e tutti per colpa dell’arroganza o dei facili giudizi. Il futuro può ancora essere azzurro, lontano da questa Fed Cup 2015 ma non da chi la onora sempre e comunque.