di Luca Brancher
Vi siete mai chiesti come sarebbe la vostra vita se dopo due anni di tempo, di oblio, di ostracismo, di giudizi negativi, aveste la possibilità di tornare a fare quello per cui siete convinti viviate? Evitando di ricercare quali fossero le cause e cercando di essere per una volta scevri dal ben pensare, sareste in grado di ipotizzare come vi sentireste in quel momento?
Il tre novembre scorso il tennista Karol Beck, slovacco di Zvolen, classe 1982 ed ex numero 36 delle classifiche mondiali, deve aver assaporato proprio queste sensazioni. Due anni addietro, al termine di una stagione piuttosto intensa, Beck venne infatti trovato positivo ad un controllo antidoping ad un farmaco anabolizzante, il clenbuterolo. Questo controllo non era stato fatto durante un evento qualsiasi, bensì al termine di una partita molto importante come la semifinale vinta dalla sua nazionale contro l’Argentina, in ambito di Coppa Davis.
La notizia della sua positività, ironia del destino, cominciò a circolare alla vigilia della finale, che la nazionale di Hrbaty e Beck avrebbe disputato tra le mura amiche contro la Croazia. Per evitare rischi ed eventuali e certe lingue lunghe, Karol non venne fatto scendere in campo, mascherando la sua assenza dietro a dei non meglio precisati problemi al ginocchio; il 31 gennaio dell’anno dopo, però, non tardò ad arrivare la sentenza sulla sua colpevolezza. Due anni, a partire dal novembre del 2005.
Un’eternità. All’epoca Beck aveva soltanto ventitre anni, era reduce da diverse settimane da top 50, aveva raggiunto un quarto turno agli Us Open l’anno prima e qualche mese prima era riuscito a issarsi sino ai quarti di finale del master canadese, quell’anno di scena a Montreal, sconfiggendo nel giro di ventiquattro ore due top mondiali come Davydenko e Nalbandian. Tutto da rifare e, come spesso capita, nemo propheta in patria.
Già, perchè nel corso dei due anni di stop, che il TAS di Losanna mai ha creduto meritassero di essere decurtati – ma non è qui la sede adatta, anche per competenze, dove parlarne – Karol Beck, da sempre seguito a livello manageriale dal padre, ritenne che alla base ci fosse un complotto, addirittura attuato da qualche componente, non meglio specificato, dello stesso team slovacco. Tesi suggestiva, ma poco credibile, dato che, come sopra espresso, a Losanna decisero che i due anni di allontanamento dovessero restare tali. E pazienza se tanti altri tennisti vedevano le proprie pene dimezzate, se non addirittura annullate, per Beck questi privilegi non esistevano.
Due anni. Due anni per valutare se c’erano anche gli stimoli per ricominciare, due anni per capire da dove riprendere e come riprendere, perché il trauma non era facile da superare. Due anni di attenta riflessione, due anni per tornare a credere che una vita tennistica fosse ancora possibile.
Il bienno di squalifica ora è finito, ed il giovane Beck è tornato a frequentare il circuito: prima Tunisi, con qualificazione centrata e primo turno di main draw vinto, successivamente a Dnepropetrovsk, dove si è limitato a qualificarsi per il tabellone principale, prima di arrendersi a Ilia Marchenko. Bilancio di sette vittorie e due sconfitte, ma soprattutto consapevolezza che ormai si è tornati in pista, a ballare assieme agli altri. In attesa che scocchi l’ora del suo ballo.
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