CDG 10_ Tennis alla Boia d’un Giuda di Stefano Grazia Volli fortissimamente volli (Vittorio Alfieri) Ci vuole un fisico bestiale (Luca Carboni) Da cosa si misura un grande campione? Dal numero dei successi? O da come ha saputo reagire alle sconfitte? Potete immaginare come si deve essere sentito Ivanisevic ogni volta che ha perso a Wimbledon? E come deve essersi sentito poi quando l’ha finalmente vinto? A volte io mi trovo a pensare che potrebbe non essere del tutto insensato barattare la sua carriera con quella di Sampras o Federer perche’ nessuno dei due di sicuro e’ mai stato cosi’ felice come Goran quel lunedi’ di luglio del 2001. Tra l’altro in altre condizioni avrei sicuramente tifato per Rafter. Comunque questa digressione non c’entra nulla con quanto volevo andarvi a raccontare. Non so quando ma ad un certo punto una frase di Michael Jordan ha catturato la mia attenzione al punto da fare un copia e incolla su uno degli innumerevoli word o pages files titolati poi Appunti per Blog o BlogNotes numero x, et cetera et cetera.Rimasto dimenticato li’ per un po’ di tempo, e’ ritornato sotto i miei occhi di recente mentre scartabellavo vari documenti alla ricerca di ispirazione. Magari non c’entra nulla con quanto stiamo dicendo ma comunque merita una considerazione o due. Michael Jordan e’ sicuramente il miglior cestista di tutti i tempi: si dice basket e il primo che viene in mente e’ Michael Jordan. Se nel tennis si citano Federer, Laver, Sampras e Borg e nel calcio I nomi si riducono a due, Pele’ e Maradona, nell’NBA non ci sono storie: si scrive Basket e si legge Michael Jordan. Eppure incomincio’ venendo scartato dalla squadra della scuola, quando era alle superiori. “Nella mia carriera ho sbagliato piu’ di novemila tiri , racconta il campione, ho perso quasi trecento partite. Ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l'ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte. Ed e’ per questo che alla fine ho vinto tutto.” Dal che si deduce che un campione lo si riconosce anche dalla mancanza di paura, la paura di sbagliare. Dalla capacita’ di dimenticare in fretta. Soprattutto i fallimenti. E in effetti questo concetto ptrebbe essere applicato anche al tennis che a differenza del golf per esempio dove ogni colpo conta, e’ un gioco in cui l’errore, anche del grande campione, e’ quasi la norma. Ci sono stati campioni che hanno fatto della regolarita’ la loro forza e vincevano perché sono in grado di tagliare gli errori e ci sono stati campioni come Gonzalez o anche Soderling che tiravano tutto e alla fine andavano a contare le crocette dei winners e I cerchietti degli unforced errors. In campo femminile le Williams hanno cambiato il gioco cosi’ e non necessariamente in meglio: celebre la battuta di Sampras secondo il quale nemmeno le Williams sapevano dove la palla una volta colpita sarebbe andata a finire. La colpivano fortissimo e basta. Ma guardando l’altro giorno Federer contro Murray ho visto scambi in cui di colpi vincenti ne venivano tirati una decina a punto solo che non erano vincenti perche’ l’altro ci arrivava lo stesso e qualche volta invece di difendersi tirava a sua volta un altro vincente che non era tale solo perche’ quell’altro lo andava a prendere e cosi’ via…Ci sono stati almeno un paio di dritti vincenti in corsa di Murray che erano ridicoli perche’ uno a quel punto li’ non avrebbe nemmeno dovuto pensarci, contro ogni regola di tennis percentage …. E quindi, direte voi? Non e’ un gioco di perfezione ma uno di errori. Chi ne fa meno vince. No, che dici: e’ un gioco di ‘vincenti’. Basta farne due di piu’ dei tuoi errori a game. Ma soprattutto: ma a cosa serve imparare il tennis percentage se quello stronzo di avversario la tira sempre dove secondo ogni postulato del tennis non dovrebbe e per di piu’ mi fa punto? Il tennis percentage sucks, il tennis percentuale e’ per Tristonazzi, a un certo livello conta ormai l’unpercentage tennis altresi’ detto Tennis alla Boia di un Giuda.
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