Il mondo intero vive ore di sgomento. Le notizie corrono, più veloci dei missili. Ci informiamo, leggiamo, proviamo a farci una opinione sui fatti, commentiamo. L’orrore, che lo vogliamo o no, arriva dritto nei nostri occhi. Le parole sono importanti. Le parole sanno fare male. Credere che possano più delle bombe, però, dovrebbe essere follia anche soltanto pensarlo.
Ancora una volta ci troviamo a raccontare lo sport, mai come in queste circostanze legato a tripla mandata alle vicende di vita quotidiana con le quali si interseca. Delle quali è parte. La coincidenza dei russi alle porte di Kiev nel giorno in cui Daniil Medvedev diventa il ventisettesimo numero uno della storia del tennis mette in luce uno spaccato inquietante dei nostri tempi. Una luce che però non dovrebbe avere alcuna fonte energetica dalla quale trarre linfa.
I messaggi d’odio vomitati dal web nei confronti di molti atleti russi sono davvero tristi. “Faresti meglio a sparire”, “ritirati e rinnega la bandiera”, “vi state comportando in questo modo e tu sei qui a festeggiare”, sono solo i più gettonati e quelli meno pesanti che ho scelto di riportare. Ma perché “vi state comportando”? Voi chi? La maggioranza di questi ragazzi hanno tra i 16 e i 25 anni, hanno dedicato la loro vita agli allenamenti e al sogno di vincere titoli e medaglie. Probabilmente sanno poco di storia, di strategie politiche e militari, di quale sia la differenza tra una forma di stato e una forma di governo. Mettiamocelo bene in testa, non hanno colpe. Non sono responsabili.
Apriamo i social con l’idea di veicolare segnali di pace, di dare una mano. Anche di non fare nulla. Per favore, però, lasciamo stare gli atleti.
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