di Roberto Commentucci
La Storia di un incompiuto vincente
Un famoso politico americano, che amava molto il nostro paese, diceva che l’Italia è il calabrone dell’economia mondiale. Il calabrone è un insetto che, a sentire gli zoologi e i fisici, non dovrebbe essere in grado di volare. Troppo pesante il suo corpo tozzo, troppo piccole le sue ali. Eppure, miracolosamente, il calabrone vola, agitando vorticosamente le sue alucce insufficienti. Allo stesso modo l’Italia, in perenne emergenza, senza una organizzazione adeguata, trascinandosi fardelli enormi, riesce sempre a mantenersi in volo, grazie alla fantasia e alla determinazione della sua gente.
Ed è una storia davvero italiana, quella di Flavio Cipolla. La storia di un ragazzo, di un tennista, che viene su dal nulla, senza alcun aiuto esterno, senza alcuna struttura a sostenerlo, senza un vero progetto alle spalle, ma che si afferma quasi per caso, grazie al solo talento e alla grande determinazione, in un mondo difficilissimo e ultracompetitivo. Un ragazzo che a vederlo, da due metri di distanza, non crederesti mai possa fare il tennista professionista, in questo circuito dominato da possenti superman. Due spallette quasi gracili, poco più di un metro e settanta, due gambe rapide e instancabili, ma soprattutto un braccio fatato.
Flavio è un prodotto artigianale, però di altissimo livello. Niente Bollettieri Academy, per lui, niente centro tecnico del Roland Garros, e nemmeno Tirrenia (che quando Cipolla era uno junior, neanche esisteva). Solo la passione e la perseveranza di papà Quirino, ore e ore in campo, cesti su cesti di voleé, di palle corte, fin da bambino, quando appena tredicenne, uno scricciolo, teneva già a bada i C1 con i suoi ricami beffardi.
Flavio ha lottato una vita contro gli stereotipi, i pregiudizi e i luoghi comuni. E sì, perché i rigidi schemi mentali dei nostri tecnici federali non contemplavano la possibilità di costruire un giocare basandosi sul talento, sul controllo di palla, sulla velocità di braccio, sulla capacità di cambiare ritmo. No, un giocatore, per i nostri integralisti islamici del settore tecnico di allora, deve avere per forza due spalle da canottiere. Poi, se ha la mano quadrata, pazienza. Manco fosse lotta greco-romana, e non tennis.
Flavio già da ragazzino stupiva per la morbidezza dei suoi gesti, ed era fra i migliori della sua classe, il 1983. Non si contano le sue vittorie, da under, sul suo quasi coetaneo Andreas Seppi, ad esempio. Ma i soloni della Federazione scuotevano ottusamente la testa. Troppo piccolino, troppo limitato. E negavano aiuti e assistenza tecnica.
Entrò nei primi 400, a poco più di 21 anni, e i soloni dissero che era arrivato ad esprimere il suo livello massimo. Iniziò a giocare i challenger, entrò nei primi 300, ma si sentiva dire “Vabbè, bravo, però ha già raccolto sin troppo, di più non può fare”. A 22 anni Flavio entrò nei primi 200, iniziò a vincere tornei challenger, poi si avvicinò addirittura ai primi 100, con qualche qualificazione nei tornei Atp. Lo scorso anno, entrò in tabellone a Parigi, passò il primo turno, ebbe l‘onore del centrale del Roland Garros contro Rafa Nadal, dal quale uscì sconfitto con onore, in diretta su Eurosport. “E chi se lo sarebbe mai aspettato… Beh, però dai, è stato un exploit isolato, a quel livello non ci può stare…E poi su, siamo seri, fuori dalla terra dove va con quel servizio?”.
Ora, la vittoria di oggi contro Jan Hernych, nel primo turno dell’US Open ha dimostrato che quell’exploit non era isolato. Nonostante il servizio debole, nonostante la poca potenza, Flavio ha dimostrato che se si ha cuore, volontà e coraggio, anche nel tennis moderno c’è spazio per la fantasia, per i tocchi, per le palle corte, le variazioni e ricami del bel tempo che fu.
E così i Cipolla, papà e figlio, hanno fatto tutto da soli. Niente biomeccanica applicata, per loro, niente videoanalisi. E la lunga, faticosa costruzione, alla meno peggio, di un gesto di servizio decente, che limitasse i danni e consentisse a Flavio di entrare nello scambio senza essere subito travolto. Insieme con l’affinamento delle specialità della casa: un repertorio al volo di grandissima qualità, due fondamentali giocati con gran timing e ottimo anticipo, un rovescio in back tagliente, dal rimbalzo bassissimo, che Flavio alterna sapientemente ad improvvise accelerazioni lungolinea, una palla corta di precisione chirurgica. E in generale, l‘abilità, oggi così rara, di “sgonfiare” la palla, di non darne mai due uguali all’avversario. Il tutto sorretto da una grande capacità di coprire il campo, grazie a due gambe velocissime e alla notevole scaltrezza nel prevedere i colpi avversari. Un Santoro de noantri, insomma. Con un solo neo nel suo scintillante repertorio. Il servizio.
I risultati di Cipolla, insomma, sono un autentico miracolo all’italiana. Ma a questo punto, una domanda sembra lecita. Dove sarebbe ora il romano se fin da ragazzino fosse stato sorretto da un adeguato sistema di addestramento tennistico? Se avesse potuto beneficiare di strutture e metodologie avanzate, se si fosse messo mano per tempo alla costruzione di un servizio adeguato al tennis moderno? Se i nostri tecnici federali dell’epoca non fossero stati così pervicacemente miopi?
Il piccolo calabrone italiano, che non dovrebbe staccarsi da terra, agita freneticamente le ali, si sforza, si solleva, passa il primo turno nei tornei degli Slam, fa onore a se stesso e al suo paese. Ma quanta fatica. E quanti rimpianti!
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