di Salvatore Petrillo
12/09/2015: é il giorno più alto per il tennis italiano, la sublimazione di un movimento capace di portare in 10 anni 4 Fed Cup, 2 Slam, 3 Top Ten e tanti, tanti altri risultati alto profilo.
07/02/2016: dopo un Australian Open deludente per le nostre portacolori, la nazionale azzurra di Fed Cup subisce una sonora sconfitta a Marsiglia per mano della (ottima, ma spesso viene taciuto) squadra francese, capace di lasciare un solo punto alle nostre ragazze. Cosa é successo in questi 5 mesi? Cosa ha portato il tennis italiano in gonnella dal palcoscenico di Flushing Meadows allo spareggio per rimanere nel World Group? Tante sono le motivazioni, ma la principale é probabilmente il non rendersi conto che l’apoteosi di New York é stata un punto di arrivo, e non un punto di partenza. Certo, quanto accaduto può fare sicuramente da traino, e forse in questo senso si può partire da lì, ma un ciclo é finito, e questo é un dato di fatto. La ricostruzione può e deve cominciare il prima possibile, ma sono due le ragazze da cui partire, e rispondono al nome di Sara Errani e Camila Giorgi, ragazze in grado sicuramente di portare esperienza e risultati per ancora alcuni anni, e non sono, e non devono essere, le due protagoniste degli US Open 2015.
Sia chiaro, chi scrive é una persona che quella sera del 12 settembre, dopo le dichiarazioni di Flavia Pennetta, é stata fisicamente male, e per quanto rivedere il suo meraviglioso rovescio lungolinea mi renderebbe estremamente felice, non credo sia rispettoso, nei confronti delle attuali tenniste ma soprattutto nei suoi, tirare in ballo la brindisina ogni qualvolta se ne ripresenti l’occasione. Debacle azzurra a Melbourne? “Flavia ha lasciato un vuoto.” Italia fuori in Fed Cup? “Servirebbe l’aiuto della Pennetta a questa nazionale.” Olimpiade? “Flavia é nel ranking, speriamo di convincerla.” Oltre alle mille responsabilità che sembrano tutti voler dare a questa ragazza, stiamo parlando di quasi un’invasione nella vita di una persona che a 33 anni ha deciso di lasciare il mondo che più ama, che in una carriera di oltre quindici anni ha sopportato infortuni, problemi privati e altre cose che avrebbero buttato a terra molti, ma dai quali é sempre riuscita a risorgere, raggiungendo il culmine proprio sul finale. Il suo addio ha fatto male a tutto il mondo del tennis, ma, siamo certi, ha fatto più male a lei, che ha deciso nei mesi di mettere al primo posto la vita privata, il desiderio di quasi tutte le donne di mettere su famiglia e magari la lontananza dai riflettori per un po’. E in misura minore, ma altrettanto fastidiosa, é quanto sta accadendo con Roberta Vinci, “colpevole” di aver rinunciato alla nazionale per dedicare il massimo impegno a quello che con ogni probabilità sarà il suo ultimo anno da professionista, in modo da poter raggiungere la tanto agognata Top Ten. Roberta compirà 33 anni il prossimo 18 febbraio, e la scelta di impostare la preparazione in vista di un ultimo assalto ai primi dieci posti, assolutamente alla portata guardando alla Race Olimpica, va di certo capita e supportata, invece di insistere su un presunto poco amore patriottico ed egoismo, mentre é evidente che la presenza, che sia in nazionale o nel circuito, delle due pugliesi, sarebbe solo un palliativo, capace forse di rimandare un scomoda verità che comunque ormai é sotto gli occhi di tutti.
Dunque, se delle persone, mature e appagate, prendono tali decisioni, andare a rilasciare dichiarazioni e articoli fatti in modo da provocare quasi un senso di colpa in ragazze che difficilmente potevano dare più di quanto già dato, credo si vada a turbare quell’equilibrio che tali decisioni sono volte a portare, andando a minare una serenità che hanno sicuramente diritto ad avere.
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