di Gianfilippo Maiga
Per noi europei appassionati di tennis l’Australian Open, pur avendo tutto il fascino di un torneo del Grande Slam, è un po’ una cosa a parte rispetto agli altri: non solo si disputa in un posto remoto (“down under”) e in orari a noi poco congeniali, ma cade in un momento stagionale “anomalo”, dato che da noi è pieno inverno, mentre lì è estate.
Insomma, se non tutto, molto ci pare diverso: noi qui a coprirci dal freddo e a guardare per esempio Lendl, faccio esercizio di memoria, ripararsi la nuca con un fazzoletto come un legionario per proteggersi dal rischio di svenire dal caldo.
L’esperienza, ovviamente, richiede uno sforzo di adattamento, molto più che ai telespettatori e aficionados, ai giocatori.
Per la gran parte di loro, che non sono asiatici, o ancor meno oceanici, si prospetta un viaggio molto lungo e un jet lag pesante da ricuperare, la necessità di adattarsi al caldo dell’estate dopo una preparazione invernale verosimilmente condotta in un clima freddo e di giocare all’aperto dopo il lungo allenamento inevitabilmente indoor.
L’avventura implica inoltre per loro lo stanziamento di un budget piuttosto alto: non solo a fronte di un volo lungo e costoso, ma anche perché devono mettere in conto una trasferta che non inizia con il torneo, ma lo anticipa con un non breve periodo da trascorrere in una situazione climatica analoga a quella prevedibile a Melbourne, o disputando tornei di preparazione o anche solo trascorrendovi più settimane di allenamento, onde abituare il fisico alle diverse condizioni ambientali.
Il tabellone principale, come tutti gli Slam, è frequentato dai/dalle migliori, e – come si dice – d’altronde il santo vale la candela. Per tutte le ragioni sopra indicate invece già per chi disputa le qualificazioni a volte delle scelte si impongono: che sia rinunciarvi tout court (non stupisca quindi di vedere il tedesco Knittel, n. 183 ATP, nel Future di Schwieberdingen in Germania) o fare a meno del coach.
Di queste difficoltà sembrano da sempre essere consapevoli gli organizzatori, che si prodigano perché i giocatori si sentano pienamente e sempre al centro dell’attenzione e non abbiano a soffrire del minimo disagio: tutti coloro cui in passato mi è capitato di chiedere quale Slam preferissero, mi hanno detto che, se per atmosfera Wimbledon (o forse il Roland Garros) sono imbattibili, in nessuno Slam si sta bene come in Australia.
La peculiarità di questo torneo emerge anche dal racconto di giocatori che ne hanno avuto un’esperienza diretta.
Andrea Stoppini, protagonista più volte del torneo, nel 2009 ha passato brillantemente le qualificazioni per “incappare” in un certo Djokovic. Andrea fa notare come il clima a Melbourne non sia sempre canicolare: anzi, è soggetto a brusche quanto improvvise variazioni, con abbassamenti improvvisi della temperatura e, naturalmente, vento. A suo tempo anche la superficie su cui si giocava era particolare: quando il “cemento” era il Rebound Ace, la palla aveva rimbalzi alti, non facilmente gestibili; oggi per fortuna il sintetico, che è comunque molto più lento di quello degli US Open, ha perso questa caratteristica anomala ed appare più agevolmente praticabile. Il torneo è senz’altro particolare rispetto agli altri Slam per ambientazione: niente megalopoli, (Londra, Parigi o la fascinosissima New York), ma una città bella quanto a dimensione umana. Distanze ravvicinate e una gestione più facile dei movimenti fuori dal campo, anche grazie ad una transportation bene organizzata. Stoppini fa notare come oggi i costi di una trasferta come quella, (minimo 1500 euro per il biglietto aereo), e le distanze non siano più un deterrente per i grandi giocatori, che a volte in passato se ne tenevano lontani, (vedi Borg, che ci ha giocato una volta sola). Al contrario, è aumentata la professionalità con cui il torneo viene affrontato, con un’adeguata preparazione e un sufficiente periodo di acclimatamento.
Uros Vico nel singolo ha giocato solo le quali, ma in compenso ha praticato l’ambiente del main draw in doppio. Secondo lui, un aspetto che davvero contraddistingue l’Australian Open rispetto agli altri è il seguito di pubblico appassionato che hanno tutti gli incontri e il vero e proprio tifo da stadio che le numerose comunità che vivono in quel Paese riservano ai propri beniamini. Ricorda, per esempio, un match tra Baghdatis e Luzzi, in cui 200 tifosi greci a supporto del “cugino” cipriota berciavano come una curva per disturbare il povero avversario. Si sovviene anche di una rissa scoppiata fra etnie slave in occasione di un match che vedeva opposti due avversari appartenenti alle stesse (forse una era la slovena Srebotnik?), con sospensione della partita! Il torneo, in realtà, si fa ricordare anche per la grande ospitalità australiana. Forse facilitati dalle ridotte dimensioni di Melbourne, gli organizzatori trasportano i giocatori non solo, come sarebbe normale, dal terreno di gioco all’albergo, ma – per esempio – in centro al ristorante, se questi decidono di recarcisi la sera!
Due parole sul torneo da un punto di vista agonistico. La presenza azzurra agli Australian Open è come sempre piuttosto nutrita, sia nelle qualificazioni, sia nel tabellone principale. Inviate alla Divinità dalle Terga Sporgenti le necessarie preci per un buon sorteggio, sono particolarmente curioso e confuso sulle condizioni di forma dei nostri e delle nostre.
Nei tornei di avvicinamento ha suscitato impressioni contrastanti quasi ognuno degli italiani, salvo forse la Pennetta, (sperando che non si sia fatta male) tra le donne. Ci sta, come si suol dire: si è reduci da carichi di lavoro estremi e da una certa astinenza da match. Vedremo. Mi sono comunque emozionato vedendo giocare Cipolla contro Tsonga a Doha e vorrei tanto che si riproponesse agli stessi livelli a Melbourne.
Per la vittoria finale in campo maschile, per tante ragioni – e so di non averne l’esclusiva – farò il tifo per Federer. Spero che la schiena dolente di Doha sia stata un fuoco fatuo, anche se il segnale che ha dato a Federer è preoccupante in un torneo che sollecita il fisico così tanto e così a lungo. Djokovic, nell’ultima apparizione, mi è sembrato disumano e la concorrenza è terrificante. Vorrei però davvero che vincesse il grande vecchio, che vecchio poi non è.
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