di Mattia Capone
Quali sono i motivi che spingono un ragazzo di 22 anni a svegliarsi alle 7 del mattino di domenica? Qualcuno potrebbe pensare a questioni lavorative o di studio, oppure ad un’imminente partenza, ma in quanti penserebbero che, dietro questa folle azione, ci sia un piccolo campionato a squadre di tennis? Eppure c’è chi come me, per almeno 3 domeniche all’anno (la durata di un girone) lo fa, per di più senza neppure avere la certezza di giocare. Ovviamente non è questo grande sacrificio per chi è amante dello sport, ma non poche volte capita di scontrarsi con lo sguardo dubbioso di amici e parenti, perplessi per la scelta fatta.
Dopo la promozione dello scorso anno, la mia formazione milita nella serie d1, competizione che già in passato ho affrontato e che è salita tantissimo di livello per via delle nuove regole sui campionati a squadre che vedono un livello più basso nella massima serie e uno sempre maggiore in quelle minori, basti pensare, infatti, che ogni squadra ha almeno un seconda categoria in formazione, per non parlare di quelle che ne hanno 2 o 3. Nonostante il livello leggermente maggiore, i personaggi che si trovano durante queste competizioni rimangono sempre le stesse fantastiche caricature di benniana memoria: si passa dal “vecchio arcigno” dal back assassino, al “giovanissimo” dai colpi arrotati in crisi dinanzi a palle morte con retromarcia inserita, al soggetto di mezza età che si definisce “appassionato” (tipicamente gioca 2 ore al giorno ed esce in bici almeno 3 volte a settimana per la sua passeggiata di 20 km).
Ci si trova dinanzi al simpatico “maestro” classificato n.c., con un passato da b2, che ti fa fare una triste figura, o al “profetico doppista” convinto che il serve and volley con corsa verso la rete, a due all’ora sulla terra, sia comunque la soluzione migliore. Chi di noi poi, non è mai incappato nel “fanatico”, riconoscibile grazie ai completini all’ultima moda del federer o del nadal di turno, che prima di entrare in campo impiega circa 20 minuti per sistemarsi la fascetta per i capelli, pronto allo scontro con la sua perfetta antitesi: il “tamarro”. Il tamarro emette suoni poco riconoscibili e beve senza vergogna da una damigiana da 6 litri portata da casa. Tra i miei preferiti c’è poi il “furbetto del quartiere”, fantastico personaggio che si pone un metro e mezzo dentro al campo e senza indugiare, dichiara tutto quello che lo supera fuori di mezzo metro, per non parlare del fallo di piede, anche questo sistematico, difeso a spada tratta con un “si ma mica mi avvantaggia”; c’è poi “l’accompagnatore”, tipico soggetto dotato del dono dell’ubiquità in quanto magicamente riesce ad essere presente a tutti gli incontri, anche se disputati su campi diversi, dispensando come se non bastasse consigli e critiche sempre pungenti ed efficaci da esperto giocatore, mostrando in realtà delle evidenti lacune sul campo quando fa riscaldare i titolari.
Altro aspetto peculiare di questi campionati è la durata degli incontri, si inizia a giocare la domenica mattina intorno alle 9 convinti di tornare per pranzo a casa, ma pian piano che la giornata avanza si capisce che quella sicurezza iniziale di un pasto caldo è solo una lontanissima speranza che si va via via affievolendo con il susseguirsi delle ore. È quasi statistico infatti, che l’incontro del girone che si disputerà nel circolo con un solo campo a disposizione, si dimostra essere sempre l’incontro più lungo. I 4 singolari che si giocano si protraggono incredibilmente, come se il destino ci volesse mettere lo zampino, e anche la partita più scontata si trasforma in una battaglia all’ultimo punto con 25 match point annullati da una parte e dall’altra. A questa partita tipicamente segue poi il match del già citato “furbetto del quartiere”, che già dal primo punto chiama la palla nettamente sulla riga fuori, cercando di buttarla subito in caciara e facendo imbestialire tutta la squadra avversaria, che inizia a richiedere l’intervento di un arbitro (lo stesso però, per discordanze nel corso della partita, verrà sostituito almeno 3 volte, e alla fine scavalcato dai 2 giocatori in ogni decisione).
Se si esce vivi poi dai 4 singolari, si arriva al doppio decisivo, che verrà disputato dai 4 giocatori più forti che, già scontratisi in battaglie epiche terminate 25 minuti prima, si sentono leggermente stanchi e iniziano a commettere errori indicibili come: smash al rimbalzo a 3 centimetri dalla rete sparati fuori di 3 metri oppure servizi direttamente indirizzati al corpo dell’avversario a rete il quale, con un balzo felino, è costretto ad evitare almeno 6 volte di essere colpito nel corso della partita. Tutti questi e altri ancora, sono i motivi per cui amo e continuerò a disputare per molto tempo ancora queste competizioni, così avventurose e mitologiche e anche se non mi concederanno la gloria di grandi vittorie, mi lasceranno comunque qualcosa di stupendo da raccontare un giorno ai miei nipoti, e che non mi porteranno mai a rimpiangere qualche ora di sonno.