Croce e delizia, ancora una volta. Fabio Fognini è morto e risorto nel match decisivo con Guido Pella ma ce l’ha fatta. E noi con lui. L’Italia c’è e ai quarti di finale di Coppa Davis affronterà il Belgio, in trasferta, presumibilmente su una superficie veloce. Un Belgio capace di presentarsi alla Fraport Arena di Francoforte e lasciare solo un punto ai più quotati padroni di casa. Senza David Goffin è stato l’uomo-Davis, il veterano Steve Darcis, a caricarsi la squadra sulle spalle e a vincere i due match di singolare, il primo con Kohlschreiber, il secondo con il minore dei fratelli Zverev. Ma come ha ricordato più volte capitan Van Herck “il Belgio è un gruppo dove l’apporto di tutti è fondamentale”. Si, i “Diavoli Rossi” non sono solo Goffin e Darcis e gli azzurri di Corrado Barazzutti dovranno armarsi di pazienza e determinazione per guadagnarsi un posto in semifinale.
L’universo tennistico fiammingo è una storia nella storia. Il movimento maschile, soprattutto nelle ultime decadi, sembrerebbe essere rimasto a guardare (e ad applaudire) il talento cristallino di Justin Henin e le strenue difese di Kim Clijsters. Un mix di talento ed esperienza, capace solo a tratti di ergersi dal limbo per entusiasmare e concretizzare i numerosi sogni nel cassetto. Proprio quelli che a volte è in grado di realizzare la più prestigiosa delle insalatiere.
L’interprete principale resta David Goffin, prototipo per eccellenza del “tennista 2.0”. 26 anni e ormai stabilmente a ridosso dei primi dieci giocatori del mondo, Goffin ha avuto il suo primo exploit due anni e mezzo fa, quando nell’estate del 2014 riuscì a vincere ben quattro tornei chellenger nel giro di tre mesi (Schveningen, Tampere, Poznan e Mons) e due ATP 250 (Kitzbuhel e Metz), che gli consentirono di guadagnare oltre ottanta posizioni in classifica. Con il suo tennis molto pulito, fatto di grandi anticipi e uno spaventoso gioco di gambe, riesce ad essere letale da ogni lato del campo. Su tutte le superfici. Per Fognini & co., ovviamente, sarà lui l’uomo da battere.
Dietro di lui, il sempiterno Steve Darcis. “E’ bollito ormai”! Si, è stato detto mille volte. Ma è proprio in quei momenti che lo “squalo” è riuscito a dare il meglio di sé. In Coppa Davis, poi, si trasforma in un indomito lottatore con il tricolore belga tatuato addosso. Come nell’autunno del 2015, quando si aggiudicò il terzo punto nella semifinale con l’Argentina regalando al Belgio la sua prima, storica finale. O come a Wimbledon, due anni prima, quando irrise Rafa Nadal a forza di rovesci in back e dritti fulminanti sulle linee. Cuore e coraggio, su tutti i campi. A tutte le latitudini.
La grande intuizione di Johan Van Herck è stata, però, la scelta dei due doppisti. Il capitano ha puntato tutto sull’imprevedibilità di Bemelmans e sulla potenza di De Loore. La coppia (che già negli spareggi di settembre aveva sconfitto due mostri sacri come i brasiliani Marcelo Melo e Bruno Soares) non ha tremato davanti ai fratelli Zverev e dopo 3 ore e 13 minuti di battaglia è riuscita a portarsi a casa un punto fondamentale (63- 7-6 4-6 4-6 6-3). Senza scomodare Malisse e Rochus, che nel 2004 vinsero incantando gli Open di Francia, possiamo dire senza possibilità di smentita che dietro le due punte di diamante ci sono loro: “Bemel” e “Big Joe”. Cresciuto nel mito di Andre Agassi e Lleyton Hewitt, Ruben Bemelmans (attualmente numero 154 del ranking) ha iniziato a giocare all’età di quattro anni spinto anche da mamma Hanne, ottima giocatrice di badminton. Preferisce le superfici veloci e appena ne ha modo prova a fulminare gli avversari con il suo rovescio (bimane) lungolinea. Alterna games impeccabili a numerosi passaggi a vuoto. Quanto a concentrazione, rimandato.
Joris De Loore (199) è un gigante. Dall’alto dei suoi 193 centimetri scaglia dei servizi bomba, come il suo idolo Andy Roddick (chi, altrimenti?). Come altri colleghi della sua stazza perde molto in reattività e negli spostamenti laterali ma in una disciplina come il doppio resta molto temibile.
Completano il team Arthur De Greef (141 da questa settimana) ed il giovanissimo Clement Geens (classe 1996), ancora un po’ acerbo ma senza dubbio il miglior prospetto a strisce nero-giallo-rosse.
Per i nostri ragazzi sarà difficile si, ma non impossibile. L’ultima volta, 17 anni fa, i fratelli Rochus sconfissero agevolmente l’Italia di Sanguinetti, Nargiso, Gaudenzi e Furlan. Sarà compito di Barazzutti mischiare le carte per impensierire Goffin e compagni. L’appuntamento è per il 7 aprile.
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