di Sergio Pastena
Piccola premessa: fare un articolo sulla struttura della Davis e su quanto le squadre in gioco rappresentino la bontà dei movimenti tennistici nazionali potrebbe sembrare pretestuoso alla luce della recente sconfitta contro la Svezia. Per essere più chiari, la cosa potrebbe apparire come quella che tecnicamente si definisce una “rosicata”. L’intenzione non è quella, ovviamente, per due motivi: innanzi tutto non abbiamo perso solo contro Soderling, ma anche contro Aspelin e Lindstedt, che erano alla nostra portata, e poi non sarebbe corretto dare la colpa al meccanismo del torneo quando ormai da ben dieci anni manchiamo dalla serie A.
All’indomani della sconfitta, tuttavia, ho letto una riflessione di Rino Tommasi sulla Gazzetta, che riporto testualmente: “Purtroppo non ci rende giustizia nemmeno la formula ridotta della Davis che consente ad una squadra come la Svezia che ha un solo giocatore tra i primi 300 del mondo di essere nel tabellone principale”. Il problema, se vogliamo, è anche vecchio, ma si ripresenta con evidenza ancora maggiore in un tennis sempre più globale: può una nazione che ha uno o due giocatori essere nel gotha di quello che alcuni ancora sostengono essere il campionato mondiale del tennis?
Al tempo. Per fare un paragone “pallonaro”, anche San Marino ha prodotto un gran calciatore, Massimo Bonini, così come la Finlandia (Litmanen) o la Liberia (Weah) ma queste nazioni non si sono neanche mai avvicinate a disputare un mondiale. Come mai? Semplice, il calcio è uno sport di squadra e un elemento forte da solo non può compensare 10/11 della formazione di livello inferiore. Qualcuno potrebbe obiettare che il tennis è uno sport individuale e sfonderebbe una porta aperta: sono tra quelli che tendono a giustificare i giocatori che rifiutano una convocazione, perché se la Davis interferisce con la loro programmazione e gli fa perdere punti e soldi le Federazioni non gli ridanno né gli uni né gli altri. Questo al di là delle questioni di riconoscenza (le federazioni non investono mica su tutti i giocatori) e di orgoglio nazionale (l’amor patrio è apprezzabile, ma non è un obbligo).
Tuttavia, per una questione di pura e semplice logica, se si decide di organizzare una competizione a squadre all’interno di uno sport individuale, bisognerebbe almeno provare a renderla realistica, rappresentativa dell’effettivo livello delle varie nazioni. Oggi, invece, abbiamo due tornei: la Coppa Davis e l’inutile Arag World Team Championship, mai emancipata dallo status di “Davis minore”, snobbata dai big al punto che quest’anno il singolare decisivo l’han giocato Ginepri e Zeballos (roba vietata a chi ha lo stomaco debole). Da un lato una competizione globale, con una storia affascinante ma una formula che non va più, dall’altro un torneo più selezionato ma che nessuno calcola di striscio nonostante esista da oltre trent’anni. Uno spreco inverosimile, insomma.
Osservate la tabella che segue:
E’ una semplicissima classifica: si calcola la media delle posizioni dei primi 5 del ranking per un gruppo di nazioni. Abbiamo inserito quelle del World Group (in blu), le perdenti dei play-off (in rosso) e le principali rappresentanti dei vari “Group I” regionali, con l’eccezione della Gran Bretagna che è nel gruppo 2 euroafricano ma è oggettivamente “svalutata”. Si noti come la Svezia sia la penultima tra le big e, tanto per fare i pignoli, se contassimo i primi dieci per nazione verrebbe superata anche dall’India che, tra l’altro, è nazione di erbivori e paga questo fatto in termini di ranking pur avendo nelle retrovie giocatori competitivi come Bopanna (con la statistica a dieci la Svezia passerebbe davanti al Kazakistan che ha solo nove tennisti in graduatoria, ma lì ci sarebbe da fare un altro discorso di tipo politico). Inoltre gli svedesi sono gli unici della seconda parte della classifica ad avere un Top Ten assieme alla Gran Bretagna. Il tennis in Svezia, in buona sostanza, non esiste più, neanche nella “seconda fascia”, restano solo Soderling e qualche vaga speranza per il futuro (Berta, Lindell): persino il primato in Scandinavia è stato perso, a favore della Finlandia. Stanno messi meglio i britannici (che almeno hanno qualche mestierante da Challenger da affiancare a Murray) e gli australiani, che oltre a Hewitt hanno conservato le seconde linee e per il futuro possono sperare in Tomic. Fa tristezza al contempo vedere come l’Italia si confermi una nazione in grado solo di produrre qualche discreto tennista e tantissime seconde linee: quantità, non qualità, da tempo per noi è una costante. Addirittura considerando i primi 10 al momento supereremmo la Russia, ma questo non è sufficiente per stare assieme alle nazioni che contano.
Ma questo, come detto, non è un papiro anti-svedese dovuto ai postumi da sconfitta. Il problema esiste e riguarda anche altre nazioni, a partire da quell’Ecuador che quest’anno è retrocesso ma in buona sostanza era rappresentato solo dalla premiata ditta “Lapentti & Lapentti” e ricordava lo Zimbabwe dei fratelli Black, arrivato addirittura ai quarti di finale. Anche nei gruppi inferiori la musica non cambia: la Lettonia la regge unicamente Gulbis, che non ha potuto però evitare la retrocessione nel “Group II”. Baghdatis, invece, ha salvato Cipro dal Group III, a quanto pare per l’ultima volta, provocando forse qualche malumore tra gli egiziani, visto che non hanno schierato Maamoun, il loro miglior tennista, nel singolare decisivo dopo aver perso il doppio. Per inciso, Cipro aveva giocato senza Baghdatis contro il Portogallo: 12 set, 16 games vinti in totale, di cui 6 conquistati da un tennista rumeno ingaggiato per l’occasione (e non scherzo, parliamo di tale Rares Cuzdriorean). Andando di questo passo tra qualche anno, con la crescita dei giovani, potremmo ritrovarci ad assistere nel World Group a sfide del calibro di Bulgaria-Lituania (Dimitrov-Berankis) o Lettonia-Finlandia (Gulbis-Kontinen): in fondo basta che la giovane speranza di turno esploda e riesca a prendersi sulle spalle anche il doppio compensando la pochezza del compagno.
Insomma, rappresentatività zero ed è per questo che le considerazioni di Rino Tommasi e di tanti altri sportivi sono più che giustificate. Varrebbe forse la pena scuotersi dall’immobilismo: anche non volendo toccare l’Arag World Team, si potrebbe provare a rendere più esteso il format della Davis. Non parliamo ovviamente del numero di partite giocate, già i calendari sono ingolfati, ma di introdurre un sistema che rispecchi maggiormente il valore delle forze in campo. Quale non saprei, non ho il polso delle federazioni per sapere cosa sia fattibile per loro, ma volendo buttare lì un’ipotesi si potrebbe mantenere invariato il numero degli incontri facendoli però giocare da quattro singolaristi diversi (primo contro primo, secondo contro secondo e così via) più il doppio: l’aumento delle convocazioni non sarebbe catastrofico (massimo 5-6 persone invece delle 4 attuali) ma magari non ci ritroveremmo a dover vedere spareggi come Romania-Ecuador, che francamente non sono un grande spot per il tennis. La cosa non toccherebbe più di tanto neanche movimenti dalle dimensioni contenute ma dall’indubbia qualità come quello serbo, che oltre a Djokovic, Tipsarevi e Troicki può ad esempio contare su un ottimo prospetto come Krajinovic.
Come detto, però, la mia è solo una boutade, un invito alla riflessione, a chiedersi se non sia il caso di svecchiare un format che appare datato: se dappertutto si cerca di dare il miglior spettacolo possibile, perché non farlo per la Davis?
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