di Marco Mazzoni
Non se la prendano i tifosi di Nadal, giustamente abbattuti dopo la clamorosa sconfitta del “Rey del rosso” contro il discontinuo (ma talentuoso) Darcis, ma la vittoria del giocatorino belga contro il toro del circuito e fresco campione di Parigi ha un sapore dolciastro. Quasi liberatorio. A scanso di equivoci, sottolineo che sarebbe stata la stessa cosa se fosse successo ad un Djokovic o ad un Murray, anche se Nadal incarna totalmente l’opposto del tennis codificato a Wimbledon nell’anno di grazia 1877, e quindi la faccenda è ancor più “intrigante”.
Dopo una sequela infinita di match schiacciati da eccessi di potenza, per un pomeriggio su di un erba “quasi vera”, ancora verde, vigorosa, scivolosa e relativamente rapida alla sua prima virginale giornata, si è visto del tennis “quasi in purezza” vincere. Si sono rivisti sprazzi dello Wimbledon di qualche lustro fa, quando si poteva giocare, divertire e sconfiggere un big senza eccessi di potenza e rotazioni. Ubriacando il toppatore di turno con rovesci ad una mano in back, cambi di ritmo, rotazioni, attacchi coraggiosi e dominio di tutto il campo. Si è visto di nuovo un giocatore normotipo battere l’emblema del tennis di oggi, di uno sport arrivato all’estremo per forza fisica e cattiveria agonistica. L’opposto del tennis in purezza, quello nato a Wimbledon appunto.
Darcis ha giocato il match della vita. In quello sguardo quasi triste, imbruttito forse da troppe sconfitte, si notava la luce della trance agonistica. Quello stato di flow che gli ha fatto mulinare colpi precisi, fantastici, coraggiosi per oltre due ore, senza tremare al momento di chiudere. Vedere quel clamoroso back di rovescio tagliare gioco e gambe al giocatore più veloce del circuito, al miglior difensore del mondo, è stata una rivelazione. Un ritorno all’indietro che pareva impossibile. Anche a Wimbledon.
Il campionissimo iberico ha perso sul piano tecnico e per una volta anche mentale, battuto con il gioco e incapace di reagire con le sue sfuriate nei momenti importanti. Qua non c’è ginocchio che tenga, non ci sono scuse fisiche. Le gambe di Nadal mulinavano veloci come a Parigi, ma con una differenza fondamentale: l’erba. Su di un prato quasi perfetto alla prima giornata di gare, i piedi velocissimi di Nadal non riescono ad avere lo stesso grip del “rosso” (e anche del duro); non riescono a scaricare a terra tutta la potenza della sua straordinaria cilindrata agonistica, capace di devastare il Darcis di turno con contrattacchi micidiali; non riescono a far arrivare l’iberico con tutta la forza e il tempo ideale a scavare nella palla con le sue scudisciate potenti ma troppo ampie. E’ un discorso di tempo sulla palla, di meccanica esecutiva, di copertura degli spazi del campo. Tutti elementi in cui Nadal è forse il migliore del mondo, ma non sull’erba. Nei primissimi giorni di Wimbledon, anche di questo Wimbledon in parte imbalsamato con un erba molto meno “erba” di un tempo, il tennis energetico di Nadal non è totalmente efficace, scoprendosi vulnerabile. Vulnerabile per un tennista come Darcis, che ha usato in modo formidabile tre armi per compiere l’impresa: il rovescio in back, la copertura degli spazi, il tempo di gioco.
Con un continuo uso del taglio di rovescio, e con la sua maestria nel poterlo giocare in tutte le direttrici senza perdere di lunghezza e sicurezza, Darcis ha tagliato letteralmente le gambe a Nadal, facendogli perdere un metro di campo, non consentendogli mai di spostarsi a tirar la sua bordata mortale di dritto mancino, e anzi costringendolo a continui faticosi piegamenti per tirar su quella palla maligna, rasoterra. Inoltre Darcis ha coperto il campo in modo mirabile: appena Nadal andava in difficoltà, il belga entrava in campo spingendo sull’acceleratore e facendo muovere di continuo il rivale, sempre su palle basse e con poco peso. Inoltre ha gestito alla perfezione i tempi di gioco, perché non s’è mai fatto invischiare in scambi troppo insistiti, che avrebbero dato ritmo, punti e fiducia a Nadal. Qualche miracolo balistico e soprattutto gli “attributi” per giocare bene i punti importanti hanno reso possibile quest’impresa, che resterà nella storia del tennis visto che mai Nadal aveva perso al primo turno di uno Slam.
Bravo Nadal ai microfoni post gara, quando senza giri di parole ha fotografato in modo lucido la “derrota”, dando merito al rivale che ha giocato meglio sfruttando a pieno le sue qualità e le condizioni viscide del campo, ancor più per la giornata umida e fredda.
Il fascino di una vittoria come quella di Darcis deriva anche dal provare, finalmente, l’adrenalina della sorpresa. Ancor più in un circuito come quello attuale, dove nei grandissimi tornei da troppo tempo alle giornate decisive arrivano sempre i “soliti” Federer, Nadal, Djokovic… E anche per aver presentato al grande pubblico un personaggio diverso dal solito. Un piccolo concentrato di talento e inconsistenza. Braccio veloce ma con poco margine, e con giocate troppo estemporanee per portarlo davvero in alto, ma con “l’impresa della vita” sulle corde pronta ad esplodere. Un giocatore quasi “’80s” per il suo modo di affrontare la partita, con coraggio e spregiudicatezza, mentre oggi quasi tutti i buoni tennisti sono appiattiti sull’avversione al rischio, e giù pedalare che tanto sbaglierà l’altro…
E’ stata un’impresa storica sul piano tecnico ed agonistico, ma soprattutto un match davvero gustoso per chi conosce cosa era il tennis su erba. Cosa era Wimbledon. Il torneo che premiava il talento tecnico, e dove gli Dei della terra battuta e del duro rischiavano di cadere sotto i colpi e gli attacchi di spregiudicati acrobati della racchetta. Con un circuito dominato 10 mesi all’anno dai picchiatori di potenza, l’aver ritrovato, almeno per un giorno, uno Wimbledon “antico” è stato un piccolo miracolo. Che mai i giocatori tecnici possano “riprendersi” Wimbledon? Difficile, ma sognare ad occhi aperti per una volta è stato molto, molto bello…
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