di Lorenzo Cialdani
Coppa Davis, da sempre o quasi unico baluardo dell’omogeneità nel variegato ed individualistico mondo del tennis, palcoscenico a volte snobbato dai big del circuito per ovvie motivazioni relative ai tanti impegni ATP, ma anche teatro di incontri epici che tanto hanno lasciato agli annali del tennis.
Se ne parla spesso, così come spesso si accostano le problematiche della competizione maschile a squadre con quelle del “trofeo gemello” della Fed Cup, eppure nell’ultimo periodo il vento del cambiamento sembra essere in procinto di colpire ancor più decisamente quella che è sempre stata una formula solida e storicamente preservata in ogni sua forma.
Giunto al suo ultimo anno come presidente della Federazione Internazionale di Tennis, l’italiano Francesco Ricci Bitti ha lanciato un piccolo segnale in vista del classico meeting di settembre in cui si prendono decisioni riguardanti eventuali modifiche ai regolamenti e alla programmazione, aprendo a due innovazioni molto controverse per gli appassionati di tennis di ogni credo ed età. Ad essere messa in discussione è innanzitutto la location per la finale di Coppa Davis, con il campo neutro per la finale che andrebbe a controvertere la formula utilizzata fin qui; l’alternanza tra casa e trasferta di ogni incontro in serie di due nazionali potrebbe valere, dunque, solamente fino alla semifinale, andando a modificare un ordine naturale che dopo tanti anni era ormai stato considerato come vero e proprio caposaldo della competizione.
Di certo ci sono dei pro e dei contro che andranno valutati al meglio: sicuramente il campo neutro porterebbe le due formazioni chiamate a giocarsi il trofeo sullo stesso piano, quantomeno per quanto riguarda il numero dei tifosi al seguito, con relativo equilibrio in fatto di pressione, e di certo ci sarebbe un’equa distribuzione dei ticket di ingresso permettendo a coloro che sarebbero stati ospiti di seguire i loro beniamini nell’ambito atto finale della Davis. Le perplessità, d’altro canto, sono molte, a partire dalla questione del terreno di gioco – fattore non di poco conto – fino alle difficoltà che potrebbero sorgere a livello di affluenza soprattutto se il teatro della finale dovesse essere distante dalle nazioni impegnate, se ad esempio si ipotizzasse una futura finale tra l’Australia di Tomic, Kyrgios e Kokkinakis e l’Italia di Donati, Quinzi e Cecchinato.
La finale in campo neutro andrebbe a sconvolgere tutti i calcoli dalle semifinali in poi, sia per i capitani che per i giocatori stessi passando anche dalle singole Federazioni, ma la modifica che potrebbe risultare il vero e proprio pomo della discordia sembra essere quella relativa all’introduzione del tie-break al quinto set, cercando di accorciare le partite magari già infinite sulla terra rossa, come il recente singolare tra Leonardo Mayer e Joao Souza rappresentanti rispettivamente Argentina e Brasile, e salvaguardando magari l’attenzione sulle singole partite oltre che la forma fisica dei contendenti.
Tutto giusto, però la storia del tennis si è forgiata anche sulla base delle epiche sfide tra fisico e nervi, trovando nella stanchezza dei giocatori e nella lotta punto su punto l’attrattiva più grande in assoluto, ai livelli delle finali mondiali decise ai calci di rigore.
Chiacchiere a parte, sicuramente il discorso verrà approfondito e di tutti questi pro e contro se ne terrà ben conto, però l’importante è che delle scelte così campali nell’economia di una competizione così di rilievo – proprio perché fuori dal meccanismo dei punti ed interna al valore nazionale del tennis – restino sensibili a ciò che ha rappresentato la Coppa Davis negli anni, riuscendo magari con esse anche a tutelare quanto di buono costruito ad ogni nuova edizione, migliorando ma preservando e tenendo conto dei fattori che hanno reso tanto grande l’agognata Insalatiera.
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