Cosa hanno in comune Carlos Junquet, Alberto Mancini e Tito Vazquez? Tutti e tre, da capitani non giocatori, hanno perso una finale di Coppa Davis con l’Argentina (Mancini, addirittura, due volte). In questo gruppetto ha rischiato di finire anche Daniel Orsanic, l’attuale “mister” dell’albiceleste: la Croazia, infatti, si trovava ad un certo punto della finale ad un solo set dall’Insalatiera, poi Juan Martin Del Potro ha dato il via alla rimonta e Federico Delbonis ha completato l’opera, evitando all’Argentina il quinto ko nell’ultimo atto della competizione.
Una soddisfazione immensa per Orsanic, il quale è riuscito dove tutti i suoi predecessori avevano fallito: vincere, ma soprattutto creare una squadra coesa. Perché l’Argentina ha sempre prodotto ottimi giocatori, eppure le è sempre mancata quell’unione che in una competizione a squadre è fondamentale: da Guillermo Vilas a Josè Luis Clerc, passando per tutti i grandi tennisti dell’ultimo decennio (David Nalbandian, Gaston Gaudio, Guillermo Coria, Guillermo Canas). Nonostante questo ben di Dio è sempre mancato l’acuto in Davis, proprio per l’incapacità di remare tutti nella stessa direzione: il più grande successo di Orsanic è proprio questo, è lui l’artefice di questo trionfo argentino (primo successo di sempre di una formazione sudamericana).
“Del Potro ha un cuore incredibile, che quando gioca per la sua Nazione diventa ancora più grande: solo lui poteva ribaltare un match del genere” le parole di Orsanic riferendosi all’incredibile successo contro Marin Cilic. Quando hai a disposizione dei grandi giocatori è tutto più facile, ma bisogna anche saperli motivare per bene: Del Potro c’era anche nel 2008 e nel 2011, eppure le cose andarono tutt’altro che bene. Palito, ad un certo punto della sua carriera, aveva addirittura pensato di abbandonare la squadra di Davis: Orsanic è stato bravo a recuperarlo, a coccolarlo e farlo sentire importante. Ma allo stesso tempo, ha responsabilizzato gli altri giocatori nel modo giusto: Leonardo Mayer, Guido Pella e Federico Delbonis, tennisti che al di fuori della Davis non hanno lasciato segni indelebili. Ma ognuno di loro ha dato un contributo fondamentale nelle vittorie contro Polonia, Italia, Gran Bretagna e Croazia (tutte in trasferta, per giunta).
Orsanic, classe 1968, era un tennista “gregario”, che non è passato alla storia. Mancino, ottimo doppista, è stato al massimo numero 107 in singolare (1993) mentre in doppio ha vinto diversi tornei in coppia con Jaime Oncins (da segnalare anche due semifinali al Roland Garros, 1997 e 2000). Nulla di eclatante, insomma: ma spesso, sono proprio i giocatori normali (o addirittura mediocri) a trasformarsi in grandi condottieri. Pensiamo al calcio: Josè Mourinho, Luciano Spalletti (e di esempi ce ne sarebbero tanti altri). Qualunque cosa accadrà in futuro, Daniel Orsanic resterà per sempre colui che ha portato l’Argentina sul tetto del mondo: un po’ come il nostro Nicola Pietrangeli, celebrato ancora oggi per il successo del 1976. Noi italiani dobbiamo sperare in una sorta di appagamento, perché sarà proprio il team azzurro a sfidare l’Argentina nel primo turno del 2017 (dal 3 al 5 febbraio).
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