di Sergio Pastena
No, dico… prendete un vostro amico e fategli questa domanda: “Abbiamo un ragazzo, a detta del popolo femminile piuttosto bello, nato in Germania da madre tedesca e padre jamaicano, rigorosamente rasta. A 12 anni si trasferiscono tutti in Jamaica. Cosa farà il ragazzo?”. Scommetto che vi risponderanno: “Vabbè, dai, lavorerà nel turismo e nel tempo libero si imbottirà di canne e reggae”. Primo luogo comune. Allora aggiungete: “No, guarda, un indizio, è uno sportivo”. La risposta sarà: “Corre i 100 metri? E’ Bolt? Oppure è uno di quei fulminati del bob della pubblicità della Fiat?”. Secondo luogo comune. A quel punto dite: “Ti pare possibile, mettiamo il caso, che questo ragazzo abbia seguito uno sport sconosciuto nel suo paese, viaggiando in economia per mezzo mondo, razionando le spese, facendosi il mazzo per riuscire ad emergere?”. La risposta sarà: “Jamaicano… rasta… belloccio… no no, è impossibile”. I luoghi comuni sono duri a morire e Dustin Brown è uno di quelli nati per sfatarli.
Molti ricorderanno la bella e completa intervista a Dustin fatta a febbraio da Fabio Colangelo e potrebbero chiedersi qual è il senso di questo pezzo. Ce ne sono due, in realtà. Innanzi tutto tiriamo i fili, visto che all’epoca Brown lottava per entrare nei 100, ma di cose ne sono cambiate: il jamaicano nei 100 ci è entrato, ha giocato con buon profitto vari tornei del circuito maggiore e continua a fare progressi. Inoltre questa è la prima puntata di una nuova rubrica, “Tennisti di frontiera”, dedicata a tutti gli atleti che sono venuti su da soli, senza poter contare sull’aiuto di federazioni inesistenti e, quando andava bene, ricevendo un minimo di supporto dai programmi Atp per le nazioni tennisticamente in via di sviluppo. Ecco, attualmente i due esemplari più rappresentativi di “tennisti di frontiera” sono Qureshi e Brown: del primo abbiamo già parlato, ora parliamo del secondo. In realtà sono in tanti, storie da raccontare, sudore e viaggi in treno, un elenco interminabile di “nemo propheta in patria” che han dovuto guardare all’estero. Qualcuno, come Gulbis, ha avuto la fortuna di possedere i mezzi per andare avanti da solo, altri han dovuto sgomitare e fare grandissimi sacrifici e Brown è l’esempio ideale in questo senso.
Ripercorriamo brevemente la carriera di Dustin, classe 1984, 26 anni ancora da compiere. Si parte dal 2002, quando Richard Russell, ex giocatore jamaicano con qualche vittoria nel circuito maggiore, organizza una serie di Futures in Jamaica. Sappiamo come vanno questi tornei: se va bene qualche tennista di casa entra nel ranking perché il sorteggio mette di fronte due wild card locali al primo turno. Con Dustin è diverso, non ottiene risultati eclatanti ma riesce a vincere ogni tanto e, forte di una discreta carriera da junior, migliora costantemente incontrando qualche futuro campione (batte Juan Monaco, tanto per dire). I premi sono quelli che sono, al massimo Dustin incamera 480 dollari per una semifinale, ma le spese sono pari a zero: la famiglia non è ricca, ma non sta male, per il momento il nostro eroe può ancora coltivare la sua passione. Poi i Futures in Jamaica vengono cancellati, e quella che per molti sarebbe la fine di un sogno per Dustin diventa l’inizio di una scommessa. I suoi gli comprano un camper: vai ragazzo, in giro per l’Europa, e combina qualcosa di buono. Brown comincia a giocare fuori dai confini nazionali nel 2004 in Germania, nel Future di Neubloch, eccezion fatta per alcuni Futures in Canada e l’esordio nel circuito maggiore a Newport 2003, passando per le qualificazioni e cedendo onorevolmente a Bob Bryan. Gira col suo camper, centellina le spese, tiene duro passando anche periodi di grande crisi. Tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 colleziona cinque sconfitte al primo turno: roba da ammazzare un cavallo, ma non lui.
I risultati lentamente migliorano, come la classifica, Dustin comincia ad alternare Challenger e Futures e arrivano i primi premi oltre i 1000 euro… però siamo arrivati tra un anno e l’altro al 2009: Brown è entrato nei 500, con pazienza certosina, tanti prima di lui avrebbero mollato, lui non ha mollato ed ha avuto ragione. Arrivano finalmente i risultati: vittoria nel Future di Vaduz, entrata nei 400, finale al Challenger di Karlsruhe e vittoria a Samarcanda, entrata nei 300, finali ad Almaty, Eckental ed Aachen, è nei primi 200. Intanto “Dreddy” costruisce il proprio gioco, assolutamente atipico: servizio solido, fondamentali artigianali ma efficaci, una particolare predilezione per le palle corte. Non è raro vedere Brown fare cose tipo questa: servizio forte, si apre il campo ad un comodo diritto, all’ultimo secondo sfodera un dropshot che lascia di sasso l’avversario. Insomma, non è solo il personaggio ad essere divertente, ma anche il suo gioco. Questa la situazione al tempo dell’intervista di Congy.
Subito dopo Dustin comincia a bazzicare gli eventi del circuito maggiore, arriva nei quarti all’Atp di Johannesburg e, sempre nella stessa città, vince un Challenger e arriva al numero 104, posizione chiave per disputare gli Slam. Nei primi cento ci entra di inerzia, nelle settimane successive: non aveva punti da difendere e alcuni colleghi non difendono i loro. Arriva l’esordio a Wimbledon, i quarti di finale a Newport, il secondo turno agli Us Open e la sfida con Andy Murray che mette in difficoltà per un set. Oggi Dustin è sempre lì, a cavallo dei Top 100: ha appena fatto semifinale a Tashkent e ha annunciato la sua sconfitta con Karol Beck su Facebook. E’ uno dei pochi atleti ad aggiornare sempre il suo profilo e anche avendoci parlato raramente non posso fare a meno di notare l’entusiasmo per quello che fa: anche una vittoria in un primo turno di doppio per lui è motivo di soddisfazione, ama parlare con gli altri sia nella realtà che virtualmente e intanto, strada facendo, ha portato a casa il titolo di doppio a Metz con Wassen. Best ranking: 98 in singolare, 68 in doppio. Io spero che migliorino anche perché, ditemi, come si fa a non tifare per un tipo così?
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