di Roberto Commentucci
Abbiamo analizzato il “nuovo” Bolelli. E’ diverso – e migliore – del vecchio, ma solo dal lato tecnico, mentre aleticamente nulla sembra muoversi.
Nessuno chiedeva a Simone Bolelli di battere questo Nadal de luxe di inizio 2010, che pare tornato quello dei tempi migliori. Un Nadal molto più mobile, volitivo e centrato di quello che, nell’unico precedente fra i due, aveva sudato sette camicie per spuntarla sull‘azzurro, con un faticoso 75 al terzo sul rapido cemento indoor di Rotterdam.
Tuttavia, c’era curiosità per la prestazione del bolognese, al suo esordio dopo la prima preparazione invernale svolta con il suo nuovo coach, Riccardo Piatti, che ha preso il posto di Claudio Pistolesi nel corso della passata stagione.
A prima vista, è sembrato di assistere ad un film già visto. L’azzurro che ottiene dei gran vincenti, rischiando tantissimo con il diritto, ma che alla lunga, data la sua inconsistenza in risposta ed in difesa, finisce per pagare carissimo anche il minimo errore in fase propositiva. Quando Simone ha subito il break, nel settimo gioco del primo set, il match è virtualmente finito, specie contro questo arrazzatissimo Rafa.
Insomma, parrebbe che finora la cura Piatti sia solo un brodino.
Ad osservare con attenzione, però, qualcosa di diverso si è visto. Il talentino di Budrio ha cambiato leggermente l’esecuzione, udite udite, proprio del suo colpo migliore, il celebrato diritto-bomba! Il colpo che, unitamente alla sconfortante lentezza dei piedi, gli ha procurato così tanti paragoni con il suo corrregionale Omar Camporese.
Il nuovo diritto di Simone si caratterizza per un finale diverso, molto più alto e completo, con il movmento che termina dietro la schiena. In questo modo il bolognese ha acquisito maggiore fluidità nell’esecuzione, riesce a tenere la palla sulle corde un pochino più a lungo e ha così ulteriormente migliorato controllo e potenza. Alcuni vincenti eseguiti nel match contro Rafa sono stati misurati a oltre 160 km/h. Una soglia che superano con continuità pochissimi giocatori: Soderling, Gonzales, Del Potro, oltre a sua maestà Federer.
Un secondo cambiamento nel gioco di Simone è l’atteggiamento in risposta, suo storico punto debole: l’azzurro, sulla seconda altrui, ora cerca di aggredire costantemente anticipando a tutto braccio, specie con il rovescio, rinunciando alle episodiche corse all’indietro alla ricerca del colpo profondo e carico di top spin, ma interlocutorio. Visti i problemi di spostamento dell’azzurro, si tratta di una scelta tanto opportuna quanto obbligata, come ben sanno altri tennisti più potenti che rapidi (vedere, ad esempio, le scelte in risposta dei vari Wawrinka, Soderling, Del Potro).
Un terzo cambiamento è stato apportato sul rovescio: Piatti ha lavorato sugli appoggi, alla ricerca di una base più salda, per consentire all’azzurro di usare con maggiore frequenza il lungolinea, che Simone ha tirato sempre con il contagocce. Contro Rafa l’azzurro (anche perché costretto dalle necessità tattiche) ha giocato molti più rovesci lungolinea rispetto a quanto eravamo abituati a vedere (quasi uno su due).
Eppure, nonostante questi indubbi passi avanti, al cospetto dell’eccellente Rafa di questo periodo, al di là di alcuni magnifici vincenti messi a segno, la sensazione è stata quella di un divario nettissimo, incolmabile, fra Simone e il livello de migliori. Come mai?
La risposta è fin troppo facile. Purtroppo, finora i progressi mancano proprio nei due settori storicamente più deboli del repertorio del bolognese: la rapidità dei piedi e la reattività in risposta, che restano probabilmente le peggiori fra tutti i top 100, con l’eccezione di Karlovic e Isner.
Insomma, le lacune più gravi, quelle fisiche, restano quelle di sempre, e sembra che non ci sia modo di porvi rimedio.
Simone continua a farsi assistere dal suo preparatore storico, che lo seguiva anche con Pistolesi: il romano Marco Panichi, che gode di buona fama nell‘ambiente. A questo punto, si possono fare 3 ipotesi:
1. Panichi, pur essendo un ottimo professionista, non è il preparatore adatto per Simone;
2. Simone non ha sufficiente motivazione al lavoro atletico duro e al sacrificio;
3. I suoi congeniti limiti fisici e i tanti infortuni avuti fra i 15 e i 20 anni, durante la sua costruzione come atleta, non gli consentono di fare di più.
E’molto difficile, da fuori, capire come stanno le cose. Ma la sensazione è che se da Bolelli possiamo sicuramente attenderci una classifica migliore dell’attuale, e aspettarci alcune oneste stagioni ben dentro i primi 50, pare ormai azzardato sperare in qualcosa di meglio. Che l’azzurro ci smentisca.
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