Torniamo però un momento a quel fulmine a ciel (non del tutto) sereno. Barty è stata giocatrice sui generis, in tutti i sensi, sin dai primi anni nel circuito. Già numero 2 al mondo a livello under 18 (vincitrice a Wimbledon juniores nel 2011), Ashleigh si era già ritirata dal tennis una prima volta nel 2014, schiacciata dalle pressioni di uno sport che non la lasciava respirare, vivere. Si era messa, come noto, anche a giocare a cricket, per poi scegliere di tornare in campo nel 2016. L’anno dopo era già in Top-20, grazie al suo gioco sublime, delizioso, ricco di manualità e allo stesso tempo potente e devastante (per le avversarie). La carriera è sotto gli occhi di tutti ed è lapalissiano rimarcarne i meriti e i trionfi.
Ciò che invece traspare con forza è il coraggio. Perché per lasciare uno sport e un lavoro come il tennis, in cui si è la più forte al mondo per distacco, ‘per inseguire altri sogni’, serve tanto coraggio. Ma anche grande consapevolezza e centratura. È necessario infatti conoscere completamente se stessi, arrivando a una scelta così importante sia con la ragione che con il cuore. Il primo ritiro, probabilmente, è giunto più d’istinto. Oggi, invece, sembra ponderato e ancor più sentito. Una scelta di vita forte, decisa, spiazzante. Una scelta alla Ashleigh Barty.
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