di Sergio Pastena
Immaginate Olivier Rochus che, a fine partita, va verso la rete, guarda l’avversario dall’alto in basso e gli stringe la mano. Se ricordate una scena del genere, allora posate quei funghetti. Già, perchè il tennista tascabile di Namur, alto 1.68, non ha mai potuto provare una sensazione del genere perché non è nato nella stessa epoca di Felicisimo Ampon, per gli amici “Totoy”.
Ampon era filippino e verso quel popolo spesso c’è un razzismo inconscio anche se bonario: piccolini, all’apparenza gracili, dipinti spesso con tratti caricaturali (chi ha sentito “Pilipino Rock” di Elio capirà), al massimo potresti dargli una speranza in discipline dove essere piccoli è un vantaggio come la maratona. Se però si parla di sport “fisici” viene più difficile dargli credito, anche se hanno una forte componente tecnica come calcio o tennis (almeno fino a quando non saltano fuori un Messi o un Rochus a scombinare tutto).
Poi guardi gli archivi e ti rendi conto che il più grande marcatore della storia del Barcellona è tale Paulino Alcantara, filippino naturalizzato spagnolo che coi blaugrana, all’inizio del secolo scorso, segnò 356 reti in 357 partite (!) contribuendo alla vittoria in cinque coppe di Spagna. Subito dopo realizzi che il movimento pugilistico filippino ha grandi tradizioni e attualmente vanta uno dei più grandi atleti della storia, Manny Pacquiao, campione mondiale in otto classi di peso differenti. E nel tennis, seppur a livelli diversi, le Filippine han prodotto tale Cecil Mamiit: ex numero 72 al mondo, finalista a San Josè nel 1999 e finalista anche nei play-off per gli Us Open del 2010 a 34 anni, praticamente da ex giocatore.
Insomma, ne sfornano pochi ma è gente tosta, brutti clienti. Tra loro, sempre nel mondo delle racchette, c’era Felicisimo Ampon.
Nato nel 1920, fin da bambino si vedeva che non aveva il classico phisyque du role: vero che non si era ancora nel tennis dei giganti, ma i dati che circolano su di lui vanno da un generoso “5 feet” ad un “4 feet e 12 inches”. In soldoni era alto tra 1.47 e 1.53, ma la versione più credibile lo vuole un metro e mezzo spaccato. Diciotto centimetri meno di Rochus, per capirci: a pochi palmi dal nanismo.
Le cronache riportano che fosse velocissimo e, abbinando tutto ciò al fatto che ha ottenuto i migliori risultati sulla terra, si potrebbe essere tentati dal dipingerlo come un pallettaro qualunque. Niente di tutto ciò: approfondendo, in mancanza di filmati, si scopre che era anche un ottimo ribattitore, sia nel senso che aveva un timing eccellente sulla risposta che per la capacità di “rimbalzare”, sfruttare la potenza degli altri per rimandare al di là della rete palle velocissime che da solo non avrebbe saputo far uscire dalle corde.
Ampon ammazzava i grandi. Fece secco due volte Jaroslav Drobny, battè Frank Sedgman a Parigi e proprio al Roland Garros raggiunse due volte i quarti di finale, nel 1952 e nel 1953. Alla veneranda età di 37 anni, nel 1957, guidò la sua nazione a uno storico spareggio interzonale (poi perso nettamente contro gli Stati Uniti) riportando due vittorie in singolare decisive contro i giapponesi, che all’epoca dominavano il tennis dell’Estremo Oriente. Proprio quei giapponesi che erano stati sorpresi da lui nei Far Eastern Games del 1934, quando Ampon li superò uno per volta nella bolgia di Manila e si aggiudicò il titolo.
La storia di Ampon si incrocia brevemente anche con quella del tennis italiano, in uno dei tre spareggi interzonali disputati dalla sua nazionale: era il 1958 e Ampon, alla soglia dei 40, si trovò di fronte un Nicola Pietrangeli in piena forma, che di lì a poco avrebbe ottenuto la sua storia doppietta al Roland Garros. Si giocava sull’erba, dove Nicola non era certo uno sprovveduto (aveva fatto finale nel doppio maschile nel 1956 e avrebbe raggiunto le semifinali nel singolare nel 1960) e tutti si aspettavano un confronto impari col filippino, che sul grass proprio non si trovava bene. I primi due set diedero ragione agli scettici, nel terzo Pietrangeli dovette però lottare duramente contro un avversario di quindici anni più anziano che, invece di spegnersi, cresceva alla distanza: vinse l’italiano 7-5, con grande sollievo dell’entourage di Davis.
Lo spirito del fighter non abbandonò mai Ampon, tanto da valergli il soprannome di “mighty mite”: la traduzione va da un bonario “lo scricciolo potente” a un più infido “la zecca forzuta”, ad ogni modo il concetto è chiaro.
Felicisimo giocò l’ultimo match a 48 anni, nella Davis del 1968, contro Toshiro Sakai. L’avversario non era uno sprovveduto: è stato numero 75 al mondo, ha giocato una finale Atp ad Osaka e raggiunto il terzo turno al Roland Garros, a Wimbledon e agli Us Open, battendo tale Vitas Gerulaitis. Ampon aveva 27 anni in più e lo spareggio era ormai perso nonostante lui avesse messo in grande difficoltà Konishi nel primo singolare. Ampon vinse il primo set 7-5, nel secondo crollò subendo un 1-6: l’ultima risposta a chi lo dava per morto fu un 6-4 6-3 con cui chiuse la partita prima di togliere il disturbo, facendo capire chiaramente a tutti che se avesse voluto sarebbe andato ancora avanti. Tanto per capirci: non è capitato, ma teoricamente Ampon, nel corso della sua carriera, avrebbe potuto affrontare sia De Stefani che Panatta.
Valli a fermare, sti filippini…
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