di Marco Mazzoni e Marcella Marcone
Terminal F di Charles de Gaulle, Parigi. L’attesa dell’aereo per tornare a Milano non finisce più. Tre ore di ritardo, nessuna certezza su quando partiremo.
Di fianco a me si siede una ragazza molto giovane, carina, in tuta sportiva. Porta con sé un piccolo trolley da viaggio e un borsone da tennis, bello grande da 12 racchette. Mi colpiscono il suo sguardo inquieto, le sue mani in continuo movimento che non riescono a celare l’ansia che la divora. Mentre la osservo mi chiedo “Sarà una giovane promessa del tennis francese, o di chissà quale paese? A Milano la prossima settimana andrà in scena il Bonfiglio, il più importante torneo di tennis giovanile in Italia, che seguo con piacere ogni anno. E se questa giovane bionda fosse diretta proprio nella mia città, per il torneo?”. Continuo a guardarla mentre apre e chiude la borsa, cercando qualcosa che non trova. Smanetta il cellulare, non riesce a star ferma, nemmeno con i piedi che sono un moto perpetuo. I nostri sguardi si incrociano più volte, finché decido di rompere gli indugi, e le chiedo “Giochi a tennis?”, “Sì”. “Vieni per caso a Milano per il Bonfiglio?”. “Esatto”. Bingo…
Due risposte, due sole parole. Non potevo immaginare che dopo un brevissimo silenzio la giovane tennista si aprisse a me, perfetta sconosciuta, come un fiume in piena. Come se avesse l’esigenza vitale di parlare, di condividere con qualcuno pensieri e timori, rabbia e frustrazioni. Il suo racconto è concitato, passa attraverso vittorie e sconfitte, famiglia ed amici, gioie e tanta solitudine, quella che un tennista conosce molto bene. La solitudine del campo, in allenamento ed in partita. La solitudine di fronte all’avversario, alla sconfitta. La solitudine di un telefono che squilla dopo una sconfitta che non sai come giustificare. Oppure un telefono che chiama qualcuno nella ricerca di una voce amica, ma che squilla a vuoto, senza risposta.
“Da quanto giochi a tennis?”
“Ho iniziato a 5 anni, mia mamma è maestra in un club di Nizza. Ormai vivo a Parigi da tempo, mi alleno al centro tecnico nazionale, ma mi manca il mare, la spontaneità della gente, la Socca che compro al mercato della città vecchia”.
“Hai trovato buone amiche a Parigi?”.
“Sì…. anzi, no. Siamo amiche, sì, ma in realtà c’è tanta competizione tra di noi, e anche invidia. Andiamo al cinema, si scherza, ma non mi sento davvero amica di nessuna. Le vere amiche sono a Nizza, quelle della scuola media, o del piccolo club, dove ho iniziato a giocare”.
Le sue parole ora escono a fatica, avverto un senso di sofferenza nel ricordare un passato recente a cui sembra molto attaccata. Poi all’improvviso Amelie (così chiamerò la giovane nizzarda, ma la ragazza è volutamente non riconoscibile) inizia a parlarmi della sua giornata tipo, di come organizza gli allenamenti al centro tecnico, di quando è in viaggio. Delle giornate prima dei tornei e durante i tornei. Routine un po’ caotiche, figlie della sua giovane età ma anche di qualche conflitto. Intuisco che non ha un buon rapporto con il cibo: mangia in modo disordinato, alterna abbuffate che colmano la frustrazione della sconfitta e che poi fatica a smaltire, con momenti in cui lo stomaco si chiude e non le va giù niente. Anche il sonno spesso si fa attendere malgrado la fatica accumulata durante la giornata. “Non sempre riesco a dormire bene. Se fatico a prendere sonno, mi attacco al cellulare e chatto con le mie amiche fino a notte fonda, e finisco per svegliarmi non così riposata”.
Il nostro dialogo tocca argomenti sempre più specifici legati alla sua quotidianità: mi racconta come prepara la sua borsa da gioco, che musica ascolta prima delle partite, e tanti altri piccoli grandi dettagli della sua vita. Ascolto in silenzio le sue parole attraverso cui si delinea il quadro di una passione che vive in molto intenso ma conflittuale, forse ancora indecisa sulla vera direzione da prendere. Se scommettere davvero sulla carriera sportiva, oppure cercare di tornare nella sua cara Nizza per una vita più “normale”.
Dalla descrizione della sua routine e delle sue abitudini è chiaro che Amelie avrebbe bisogno di una guida, di qualcuno a cui confidare desideri, dubbi, difficoltà, esigenze, che a differenza di quelle dei suoi coetanei si manifestano in una realtà povera di punti di riferimento affidabili, in perenne cambiamento, in cui l’unica cosa che conta sono le performances sportive.
Mi permetto di dirglielo, anzi la invito a cercare qualcuno con cui poter iniziare a lavorare su se stessa non solo per migliorare i suoi risultati ma soprattutto per riuscire a scegliere e a apprezzare la vita che vuole fare. L’esperienza mi insegna infatti che non si può scindere il privato dal professionale: sentirsi bene nella propria pelle, vivere in armonia coi propri desideri, essere in sintonia con quello che si fa aiuta a esprimere le proprie potenzialità in qualsiasi campo, anche su quello da tennis.
La ragazza mi ascolta con grande attenzione, il suo sguardo si apre, per la prima volta mi sorride. Sembra divorare ogni mia parola, come se non aspettasse altro.
Finalmente ci chiamano, l’aereo è pronto. Ci alziamo, le lascio la mia email, sono disponibile a parlare ancora se vuole… Mi saluta e corre via.
Non la rivedrò sul volo ma avrò sue notizie seguendo l’andamento del Bonfiglio. Saprò che ha superato le qualificazioni e nel tabellone principale ha vinto buone partite battendo avversarie più quotate.
Verso fine settimana mi arriva una email. Apro il messaggio, che recita solo un semplice “Grazie”.
E’ sicuramente la email più corta che abbia mai ricevuto, ma una delle più gradite e sorprendenti.
Non mi illudo certo che un’ora di chiacchiere con una sconosciuta possa aver influito direttamente sulla sua prestazione. In base alla mia esperienza professionale posso però affermare che l’ascolto neutrale e benevolo offerto al giocatore lo aiuta a scaricare la tensione legata a certe quotidiane e inconsapevoli conflittualità, e gli permetta di focalizzarsi sul match meno distratto da altre problematiche.
Per rafforzarsi sotto l’aspetto mentale un lavoro fatto con un terapeuta e mirato all’analisi delle proprie abitudini (fuori e dentro al campo) si rivela di grande aiuto per il tennista.
Le abitudini, che costituiscono il modo personale e unico con cui ognuno gestisce la propria quotidianità, mettono direttamente in feed back con la propria storia personale e familiare, con desideri, conflitti, paure che spesso si frappongono agli obiettivi che il giocatore vorrebbe raggiungere.
Ritengo questa riflessione importante, meritevole di essere approfondita nell’ambito del tennis e dello sport individuale, ancor più per quelle discipline che portano i giovani a viaggiare molto, a crescere velocemente e fuori dall’ambiente familiare. Per questo ho deciso, insieme all’amico giornalista di tennis e “curioso” Marco Mazzoni, con cui ho già scritto “Tennis sul Divano” e questo articolo, di indagare in questa direzione. Abbiamo iniziato un percorso di ricerca sulle abitudini, sulle routine, su come si organizza la professione e quindi la vita sportiva e non, parlando con chi vive lo sport in prima persona. Soprattutto tennisti, ma non solo. L’obiettivo è quello di pubblicare a breve un libro su questo tema, sperando che possa essere interessante per il lettore ma anche di aiuto a chi intraprende lo sport individuale, famiglie incluse. Siamo ancora nella fase (delicata) della raccolta di informazioni, con chiacchierate ed interviste che saranno ovviamente anonime. Per questo, se qualche addetto ai lavori (giocatori, ex giocatori, allenatori, ecc) fosse interessato a partecipare, raccontando la propria esperienza, saremo lieti di entrare in contatto e scoprire quel piccolo mondo, ricco di sorprese e significati tutt’altro che banali.
(per il contatto con gli autori, scrivere alla redazione)
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