Coppa Davis obsoleta, Coppa Davis vetusta, Coppa Davis da buttare, Coppa Davis da amare, Coppa Davis da custodire e proteggere. Ogni anno è la stessa storia: la maggior parte degli appassionati si emoziona al momento della finale (anche perché si tratta dell’appuntamento che chiude definitivamente la stagione del tennis), ci sentiamo coinvolti quando scendono in campo i nostri portacolori o i nostri beniamini, ma soprattutto ci indigniamo e gridiamo alla rivoluzione quando, specialmente nei primi turni, i migliori del ranking alzano bandiera bianca e rinunciano alla convocazione.
Da anni, ormai, le firme più prestigiose e i più importanti addetti ai lavori forniscono la loro ricetta per provare a rivitalizzare la competizione. E il tema è tornato nuovamente sotto la luce dei riflettori dopo il primo round del 2017, in cui sono scese in campo nazionali zoppe: l’argomento è trito e ritrito, l’Itf è restia ai cambiamenti drastici ma forse è arrivato il momento, una volta per tutte, di fare qualcosa. Una mossa di un certo spessore, che riesca a illuminare la competizione e in qualche modo stravolgerla: perché la Coppa Davis, pur con tutte le sue crepe e le sue rughe, è ancora oggi uno degli appuntamenti più attesi della stagione ma, soprattutto, uno dei più coinvolgenti. Solo le partite della nazionale regalano ad un Franko Skugor qualsiasi la luce dei riflettori, solo le sfide tra Paesi riempiono un palazzetto per un Jordan Thompson – Jiri Vesely.
L’introduzione del tie-break al quinto set è già di per sé un enorme cambiamento (anche se, forse, i long set davano quel tocco di epicità in più). Ma non basta per richiamare ed invogliare i grandi nomi: serve altro. Cosa? A parere di chi scrive, bisognerebbe trasformare la competizione in qualcosa di ancora più unico e imperdibile: ovviamente questo è solo un semplice articolo, una riflessione. Però non sarebbe stupendo se la Coppa Davis, invece di disputarsi in maniera “diluita”, si concentrasse tutta in un mese? Un po’ come si fa nei Mondiali di calcio: bisognerebbe chiaramente riprogrammare l’intero calendario Atp, ma se la Fifa è riuscita a schedulare i Mondiali in Qatar… insomma, tutto è possibile.
Un mese intenso di partite: ottavi, quarti, semifinali e finale tutti in un’unica soluzione. Ma non in un’unica sede, perché il fascino della Davis è anche quello di portare il tennis in luoghi dove solitamente non fa mai tappa: niente modifiche alla metodologia di scelta di una sede, niente limitazioni alle superfici di gioco. E poi, oltre al calendario, si potrebbe pensare di reintrodurre i punti validi per la classifica mondiale, un po’ come si faceva fino a qualche anno fa: un altro incentivo per i giocatori di primissimo livello.
Si parla tanto di quinto Slam, molti tornei si prendono questa “etichetta” per darsi un tono ma la verità è un’altra: dovrebbe essere la Coppa Davis il quinto Slam. Un appuntamento, insomma, a cui i giocatori non rinuncerebbero per nessuna ragione al mondo: e solo circoscrivendolo e dandogli una collocazione precisa nel vasto calendario Atp i giocatori lo prenderebbero in considerazione fin dall’inizio. Non solo quando c’è da scendere in campo per una semifinale o una finale.
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