Il circuito Challenger è una giungla. Tanti talenti, molti giovani di belle speranze e parecchi “vecchi volponi” sempre insidiosi e pronti a mettere i bastoni tra le ruote ai ragazzi che vivono i tornei in questione come tappa interlocutoria verso il circuito maggiore. In questo contesto è facile innamorarsi tennisticamente di chi gioca meglio, di chi interpreta oggettivi o soggettivi canoni di bellezza ed eleganza dello sport o di chi, per un motivo o per un altro, sa rubare l’occhio. Più difficile pensare, al di là di quando in campo ci sono fenomeni e noti predestinati come Musetti, Rune o Alcaraz, “Questo con gli altri non c’entra niente”. Sotto il cielo dell’ultima, gloriosa estate italiana, Tomás Martín Etcheverry ce l’ha fatta. L’argentino ha stupito Forlì con un tennis aggressivo ma paziente, incentrato su un servizio spaventoso soprattutto nella variante del kick da sinistra. Un colpo unico fuori dalla top 100 del ranking ATP. Poco importa se in Emilia-Romagna il classe ’99 di La Plata si sia fermato in semifinale: il percorso era evidentemente lanciato. Vittoria a Perugia, semifinale a Todi, vittoria a Trieste, finale al Cordenons. Etcheverry ha demolito quasi tutti gli avversari che si è trovato davanti sfruttando al massimo le sue caratteristiche, girandosi di dritto quando possibile e sfoggiando le sue grandi doti atletiche nei momenti più complicati dei match. Non sorprende la qualificazione conquistata nel tabellone principale degli Australian Open (chiedere, in caso di dubbi, al povero Flavio Cobolli che proprio a Forlì e Melbourne è stato eliminato dall’atleta albiceleste), sorprende che il ranking sia ancora a tre cifre. Ma è questione di tempo. Poco. Mettetevi comodi, ammirate le sue gesta e pronunciatelo come si deve. Si chiama Tomà Martì.
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