Fort Lauderdale, Florida: su un piccolo campo in terra rossa si sfidano, appena dodicenni, i futuri tennisti professionisti Jesse Levine e Donald Young, alla ricerca del trionfo nello U.S. Clay Court 14 Nationals. Young, dopo aver perso il primo set, ha pareggiato i conti nel secondo e ribaltato completamente l’inerzia del match nel terzo. Avanti 5-0, si presenta a servire per il match, salendo presto sul 40-15 e ottenendo i primi match points. Gli organizzatori della manifestazione iniziano a preparare il cerimoniale di premiazione, ignari di quanto stia per accadere: Jesse Levine, realizzando 23 punti consecutivi, intasca 7 game di fila e si rende protagonista di una rimonta che ha dell’incredibile, trionfando 7-5 di fronte ad un Donald Young attonito.
Cancellata l’amarezza di giornata, resta la certezza per chiunque abbia assistito al match che nel giovanissimo Donald Young alberghi un talento che attende solo il momento migliore per mettersi in luce. Il ragazzo nativo di Atlanta, infatti, non è un tipo che ama perdere tempo: si è avvicinato alla racchetta a soli tre anni, seguendo le orme dei genitori, entrambi tennisti, dimostrando già negli anni giovanili una spiccata personalità unita ad invidiabili doti tecniche.
Appena quindicenne si regala una storica vittoria agli Australian Open Junior, accompagnata dal trionfo in doppio agli US Open Junior in coppia con Alex Clayton. Gli ottimi risultati attirano su Donald l’attenzione di giornalisti e riviste, in particolare di Newsweek, che in una propria rubrica lo definiva il 27 Dicembre 2004 una stella pronta a brillare, nuovo talento del tennis americano. Paragonato persino alla figura di Andy Roddick, il giovane afro-americano diveniva a fine 2005 numero uno al mondo junior, preparandosi ad un futuro più roseo che mai.
Primo americano a vincere gli Australian Open Junior, primo afro-americano a raggiungere il primo posto nel ranking, record per il tennista più giovane a raggiungere la vetta del ranking junior, primo americano a trionfare a Wimbledon Junior: queste le enfatiche e cariche di aspettative affermazioni che a fine 2005 veleggiavano attorno a Donald Young, oramai divenuto promessa del tennis a stelle e strisce.
Il 2006 si rivela più avaro di successi, con la sola semifinale agli US Open Junior degna di nota. Come spesso accade, la mutevole opinione dei media volta in fretta le spalle al tanto osannato Young: il New York Times, in un inserto domenicale, dedica un pezzo al giovane afro-americano intitolandolo “Prodigy’s End”, quasi a sancire superbamente la fine di un sogno, la mancata realizzazione di improbabili aspettative da parte di un ragazzo appena diciassettenne.
Ma Donald Young è ben lungi dall’essere finito. In una gioventù che è un’altalena, si ritrova vincitore a Wimbledon Junior e al Challenger di Aptos, sfrutta una wild card che lo proietta agli US Open, nel mondo dei “grandi”, dove giunge al terzo turno battendo Chris Guccione e approfittando del ritiro di Gasquet ed irrompe perentoriamente nella top 100 ATP.
L’anno successivo le aspettative si fanno pressanti e le critiche piovono sul giocatore di Atlanta relativamente alla sua scarsa applicazione. “Si adagia sugli allori”, “tanto talento e poco impegno”, sono gli slogan che accompagnano in campo Donald Young. Tra il 2009 ed il 2010 conquista solamente i Challenger di Calabasas e Carson in terra natia, scendendo nel ranking fino ai margini della top 200. Guidato dai propri genitori in qualità di coach sin da bambino, Young si rende protagonista di un’annata indimenticabile nel 2011, condita da vittorie prestigiose (su Andy Murray e Gael Monfils tra gli altri), da un quarto turno raggiunto agli US Open e dalla prima finale a livello ATP sugli orientaleggianti campi di Bangkok. La posizione n.39, raggiunta proprio a fine 2011, rappresenta ancora il best ranking del prodigio americano.
Il 2012 vede Young rendersi protagonista solamente di record negativi, con una incedibile striscia di 17 sconfitte consecutive. A riconciliare l’americano con la federazione USA ed i tifosi sono le due annate seguenti, in cui si afferma in tre tornei Challenger e ritorna, a metà 2014, nell’ambita top 50, guadagnandosi anche alcune convocazioni in Coppa Davis accanto al più blasonato connazionale John Isner.
Sano lavoro dentro e fuori dal campo, uniti ad una costante dedizione stanno lentamente riportando il talentuoso americano ai propri migliori livelli, eppure ancora molto ci si aspetta dal giovane prodigio tutt’ora in attesa del suo primo titolo ATP. La grinta che durante ogni match lo contraddistingue è chiaro segnale della forte volontà di tornare a sorridere e trionfare. Spinto con troppa foga in un universo a tratti ancora sconosciuto, secondo molti Donald Young conserva molto potenziale inespresso, che potrebbe portarlo ad ottenere quei risultati che ottimisticamente gli si chiedevano già anni or sono.
Ma d’altronde, in una vita che è come una montagna russa, c’è sempre tempo per salire in alto una volta di più.
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