di Marco Mazzoni
Cosa è l’adrenalina? E’ una scossa elettrica, un’iniezione di forza ed energia che crea una tensione, e che ti da una carica enorme trasformando la sensazione in qualcosa di travolgente. Spesso dolcissima. Non credo ci sia una scala che possa misurare l’adrenalina ed elettricità vissuta ieri da Simone Bolelli nel match contro Nishikori, ed io (e tantissimi suoi ammiratori) con lui. Un sabato pomeriggio che è diventato sera, un match che da promettente è diventato esaltante, fino a lasciarci con un filo di sottile amarezza per esser stato interrotto proprio sul più bello, a pochi metri dalla linea del traguardo, e soprattutto con un Simone così bello da apparire quasi irreale, da “impazzire”. Era davvero lui quel tennista indiavolato che tirava dritti come un ossesso, flirtando con le righe e sfondando il n.12 del mondo? Era proprio lui a scattare così agile anche dopo gli scambi più lunghi e pure nei cambi di direzione più complicati? Era davvero Simone quel tennista che ha inventato tennis d’autore sull’erba di Wimbledon? Sì, proprio Simone Bolelli da Budrio. Quel ragazzo che ha sofferto mille problemi ed infortuni, ma che ieri sull’erba volava, più forte di tutto e di tutti, totalmente focalizzato sul suo gioco. Un gioco è stato pure costretto a cambiare (in parte) per ovviare al problema al polso ma mai è stato così efficace oltre che bello. Simone ha dovuto cambiare la sua amatissima “racchetta che fischia” per passare ad un modello che gli regala meno spinta ma più controllo, soprattutto in difesa, e che oggi fa tutta la differenza del mondo. Ma la differenza più di un telaio la sta facendo lui. Ha dovuto ripartire da zero, ricostruire fisico e morale, provando per l’ennesima volta la risalita. Ed è bellissimo oggi trovarlo a lottare per il miglior piazzamento in carriera in uno Slam proprio a Wimbledon, il torneo per eccellenza.
La soddisfazione di aver ammirato un Bolelli così in palla e positivo è enorme, così che è estremamente dolce ammettere “di non averci preso…”. Infatti alla vigilia pensavo che affrontare Nishikori fosse una sfida tecnicamente molto complessa, forse troppo. Credevo che le palle pesanti ma troppo pulite di Simone sarebbero state restituite con gli interessi dalla racchetta di Kei, troppo veloce per esser sfondato con continuità dalle accelerazioni del nostro; peggio ancora 3 set su 5. Credevo ad un buon avvio del bolognese, ma che alla lunga distanza il suo pressing si sarebbe affievolito, che sarebbero aumentati gli errori e che il nipponico sarebbe scappato via. Inoltre temevo che al servizio Simone non sarebbe riuscito a fare la differenza, conoscendo bene la qualità del rivale alla risposta, bravissimo nell’anticipare e chiudere gli angoli del campo, mettendo così a nudo la relativa lentezza dei piedi di Bolelli. Tutto falso. E’ andato in scena un match molto diverso da quel che mi aspettavo, e questo assolutamente più per merito di Bolelli che per demerito di Nishikori. Infatti Kei non ha affatto giocato una brutta partita. L’unica cosa che gli si può rimproverare è di non esser stato capace (o solo per brevi tratti) di girare gli scambi a suo favore usando al massimo gli “strettini” che lo contraddistinguono e le varie rotazioni che sa imprimere; e forse anche di non esser stato letale come altre volte alla risposta. Ad esempio, ho ben presente la sfortunatissima finale di Madrid “regalata” da Nishikori a Nadal per il noto infortunio; in quel match i servizi del n.1 del mondo erano catturati dalle corde di Kei e trasformati in oro grazie ad un timing superbo, ad angoli improvvisi ed un controllo assoluto che faceva veleggiare la palla sempre lunga e precisa, regalandogli così il controllo del gioco e mettendolo nelle condizioni ideali per fare il punto in 2-3 mosse. La sfortuna gli impedì uno scacco matto meritatissimo sulla terra di Madrid. Temevo che Bolelli, pur con un servizio più potente di quello di Nadal, rischiasse di fare la stessa fine, triturato lentamente da risposte maligne trasformate in una ragnatela di scambi ingestibile. Invece Simone ha servito molto bene, con grande qualità e continuità, e soprattutto variando così spesso gli angoli da non permettere al rivale di prendere ritmo e fiducia nel colpo. Così che su risposte mai davvero letali, Bolelli ha iniziato il suo pressing fantastico, ha martellato tenendo quasi sempre in mano l’iniziativa e l’inerzia dello scambio. Vedere Nishikori sballottato da un lato all’altro del campo, sia nella diagonale del dritto che incredibilmente anche in quella di rovescio è stato qualcosa di sorprendente ed esaltante! Sulla direttrice del rovescio spesso Nishikori è riuscito ad uscire vincitore con quel suo lungo linea fulminante, ma complessivamente Simone ha retto benissimo e non ha pagato poi così tanto nemmeno questa situazione tattica, che era potenzialmente pericolosissima perché ama spostarsi sul lato sinistro e condurre lo scambio col dritto, cosa che infatti ha messo in pratica con grande efficacia.
Ma la prestazione super di Simone è da ricercare in tante piccole grandi cose. Incredibile l’intensità generale che è riuscito a produrre in campo, nonostante fosse alla sua sesta partita in pochi giorni, la quarta 3 set su 5. Mentre calava la sera nel quinto set, era sempre lui a prendere in mano il gioco, a spingere e scattare sulla palla con una vivacità che mai (sottolineo mai) gli ho visto in carriera, nemmeno nel suo “magico” 2008. E’ noto come Bolelli abbia sempre pagato dazio sulla risposta; Nishikori non ha un servizio dominante, ma il modo in cui Simone è riuscito a rispondere con profondità e continuità è un segnale enorme di fiducia, di crescita a livello mentale – tecnico – tattico. Palle forte e tese, ma spessp anche con un leggero spin di controllo che l’ha aiutato non poco. Bolelli non ha veri difetti tecnici, come tennis è tra i grandi da tempo. La palla gli esce dalle corde fortissima e tesa da ogni angolo del campo ed in ogni situazione di gioco. Gli è semmai mancata la reattività per trovare il corretto timing alla risposta, la velocità per arrivare in corsa nella posizione ideale a trovare l’impatto e rispedire palle ancor più forti e lunghe. Ieri tutto questo magicamente c’era, e c’era di brutto, ai massimi livelli. Sembrava volare sulla riga di fondo, leggero (sì, leggero!) e sempre focalizzato. Sembrava in quella condizione che ben ha descritto Agassi nel suo stupendo libro Open: “Ci sono dei giorni in cui divori la palla con gli occhi, in cui lei ti sembra “grande così” mentre ti viene incontro e non puoi non impattarla con tutta la tua forza, perché tutto scorre via veloce, automatico”. Intensità, forza, efficacia ed anche continuità, altra grande sorpresa. Quasi mai una pausa, eccetto rari momenti prontamente recuperati. Vedere Simone servire una gran prima, muovere veloce i piedi a cercare appena dentro al campo la palla che sta arrivando ed iniziare il suo martellamento col dritto, e poi passare anche al rovescio cross, e quindi un drittone in avanzamento a chiudere è stata una sinfonia tennistica meravigliosa, qualcosa che mi ha realmente regalato brividi. Emozioni forti perché a Simone voglio sinceramente bene sul piano sportivo. E’ un bravissimo ragazzo, che ha pagato fin troppo una sfortuna nera e qualche scelta, vedendo così scivolar via i migliori anni di una carriera che gli ha regalato troppo poco rispetto al talento ed alla qualità (e bellezza) del suo tennis.
Ieri contro Nishikori è arrivato un paio di volte a due punti dal vincere, due maledetti 15 che non è riuscito a vincere. Il tiebreak del quarto set forse poteva essere giocato un filo meglio quando l’altro è scappato 4-1, ma recriminare adesso non serve a niente. E’ ancora pienamente in corsa per provare a vincere lunedì, ed ottenere un clamoroso accesso agli ottavi di Wimbledon. Davvero un peccato che non sia riuscito a terminare la partita ieri sera, perché era “in the zone” nonostante la fatica, e la sensazione che ce la potesse fare era palpabile. Adesso Nishikori avrà tempo per riposare e riorganizzare le idee, e… Simone quasi due giorni per pensare, e rimuginare. Speriamo non troppo. Speriamo che quelle situazioni in cui è stato così vicino a vincere non stiano adesso aleggiando maligne in ogni suo pensiero. Speriamo che l’attesa (troppo lunga, maledetta domenica di mezzo…) non lo consumi troppo sul piano nervoso.
Sarebbe davvero un peccato non portare a casa questo match, ma se anche non ci riuscisse nessuno potrà portargli via questa prestazione, che non deve essere un semplice exploit ma la base su cui portare avanti il suo presente agonistico. Deve essere una pietra angolare su cui costruire la certezza mentale che il suo tennis ed anche il suo fisico possono reggere questo livello. Quello del grande tennis, a cui la sua racchetta appartiene non da oggi.
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