di Sergio Pastena
Si avvicina il momento, è questione di poche settimane. Di cosa parlo? Beh, del rientro in pianta stabile di Wayne Odesnik nel circuito maggiore. Oggi, per dire, l’americano ha portato al terzo set Del Bonis nel turno decisivo delle qualificazioni di Buenos Aires: ha perso, ma è rientrato come lucky loser grazie al ritiro di Bellucci e sfiderà al primo turno Nalbandian.
Molti ricorderanno la sua storia: nel 2009 venne beccato in Australia con otto fiale di ormone della crescita (anche detto somatotropina o HGH). Ne seguì una querelle che evidenziò un’importante carenza normativa: riconosciuto colpevole dalle autorità australiane e multato di 7.000 dollari, Odesnik continuò a giocare perché non era mai risultato positivo all’antidoping e in attesa del giudizio nessuno poteva impedirgli di scendere in campo. Giocò per poco, Odesnik, perché dovette cedere alle pressioni dell’ITF, che si trovò a gestire una marea di proteste.
I giocatori americani, infatti, fecero fronte comune contro Odesnik, che già non era il “mister simpatia” del circuito e per giunta aveva come coach Canas, un altro che col doping ha avuto un rapporto turbolento. Roddick usò parole di fuoco: “La nostra reputazione non può essere rovinata dal comportamento di un imbecille”. Alla fine il tennista di Johannesburg decise di autosospendersi per un anno. Correttezza? Più che altro scaltrezza: andare al braccio di ferro poteva costargli una squalifica pesante, invece i due anni iniziali furono ridotti ad uno e nel 2011 Odesnik tornò in campo. Lo “sconto”, però, causò altre polemiche (Fish commentò: “La sentenza è un pugno in un occhio per lo sport”) e da quel momento l’americano è diventato l’appestato del circuito.
Ha dovuto ricominciare davvero da zero, Odesnik, vincendo un mini-torneo per una wild card al Future di Plantation. Già, perché nessuno, giustamente, gli faceva la minima concessione: persino il Future di Weston, città dove Odesnik risiede, gli concesse solo un pass per le qualificazioni ma non per il main draw. Solo che, con o senza doping, il livello di Odesnik non è certo da Future, tant’è che a Palm Coast lasciò per strada meno di quattro games a partita. Approdato rapidamente nei Challenger, molti speravano che si arenasse, invece arrivarono buoni risultati: finale a Tallahassee, vittoria a Savannah, bis a Lexington.
Il fatto che i colleghi non avessero assolutamente dimenticato emerse proprio a Savannah: Amer Delic, che doveva affrontarlo dopo aver battuto Kendrick, scrisse su Twitter “E’ sempre dura giocare contro un amico, domani non avrò questo problema”. Il giorno dopo si infortunò e, per sua stessa ammissione, rimase in campo due set solo per farlo stancare: un atteggiamento da tonto, perché rischiò di farsi male. In semifinale Odesnik trovò Harrison che lo beccò platealmente per tutta la partita: “Sei la vergogna del tennis”, “Nessuno crede in te”, “You’re a weasel”, un individuo subdolo. E non era mica solo lui a farlo: stando alle cronache locali americane, in tanti in quei mesi lo avevano stuzzicato in campo. Odesnik, ad ogni modo, battè Harrison e vinse il torneo.
Il punto più alto delle polemiche fu tra luglio e agosto: mentre montava il caso Kendrick, Odesnik entrò in tabellone a Washington come lucky loser. I parallelismi si sprecarono, al coro si unirono Blake, Sweeting e Isner, che fecero notare quanto fosse assurdo che venisse data la stessa sanzione a uno che aveva preso una pillola per il jet lag e un altro che era stato pescato con otto fiale di ormoni (come dargli torto?). Sui forum (e non solo) si rasentò l’idiozia, arrivando a criticare l’incolpevole organizzazione del torneo. Il reietto, l’appestato, il paria del circuito. Un paria che, però, continuava a risalire: finale a Binghamton e, dopo una leggera flessione, vittoria a Bucaramanga e posizione 107 del ranking.
Insomma, presto bisognerà porsi il problema del ritorno di Odesnik nel tennis che conta. I numeri parlano chiaro: l’americano ha 511 punti, ne difende solo 35 nei prossimi due mesi e due terzi da luglio in poi, presto potrebbe accedere a molti tornei senza avere bisogno di qualificazioni o ripescaggi. Dovendo ipotizzare una data, salvo che non entri già a Delray Beach, si potrebbe pensare all’Atp 250 di Houston all’inizio di aprile, da cui il titolo dell’articolo. Un torneo su terra, superficie sulla quale Odesnik si trova bene a differenza di molti connazionali. Un evento evitato da tanti europei, che preferiscono Casablanca per preparare Montecarlo, e che per questo motivo ha un cut off alto (nel 2011 era al numero 111). Peraltro Odesnik ha un feeling particolare con Houston, visto che lì nel 2010 raggiunse le semifinali e nel 2009 giocò la sua unica finale Atp.
Descritta la situazione, chiariamo una cosa: se qualcuno nelle righe precedenti avesse percepito una certa empatia o, addirittura, simpatia verso Odesnik, si togliesse l’idea dalla testa. Uno che viene beccato con otto fiale di somatotropina in valigia non potrà mai starmi simpatico. Anzi, preferisco l’isolamento a cui lo hanno ridotto i colleghi rispetto all’odiosa “difesa del gruppo” classica dei ciclisti: il tennis, fino a prova contraria, non è ancora devastato dal doping ed è importante che gli atleti si schierino per uno sport pulito.
Detto questo, però, vorrei spendere poche righe per un’opinione forse impopolare, ma dettata da un certo senso della giustizia che ho il vizio di preservare intatto. Mettiamola così: il ritorno di Odesnik nei tornei maggiori appare scontato e, considerando che ha 26 anni, giocherà ancora un bel po’, quindi sarebbe il caso che chi di dovere si ponesse il problema. Nessuno dice che Odesnik debba diventare simpatico nè che lo si debba perdonare, ovviamente. L’augurio, però, è che tutto si fermi fuori dal campo: sarebbe preoccupante se continuasse l’andazzo di questi mesi e venissero tollerate certe “scenate” anche nei tornei che contano.
Vedete… fino a due secoli fa in Europa si usava ancora la “gogna”: il colpevole veniva esposto in piazza e insultato dalla folla, che gli tirava roba di ogni genere. A un certo punto, benedetto il progresso, si decise che era una pratica incivile e se ne abolì l’uso, limitandosi a condannare al carcere (parliamo sempre di Europa, non di Texas). Odesnik il suo “carcere” l’ha scontato, con un anno di stop, e si può concordare o meno sulla sentenza: io, ad esempio, non ho accolto con gioia lo sconto, mi è sembrato un do ut des legato all’autosospensione (anche se, non va dimenticato, Odesnik non è mai stato trovato positivo).
Quello che non mi piacerebbe vedere, però, è un circuito che ripristina la gogna: un pericolo concreto, specie tra i giocatori americani.
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