di Paolo Silvestri
Come si chiama il ministro dello sport paraguaiano? Non scervellatevi pensando a uno di quei giochetti di parole che vi facevano sbellicare dalle risate quando eravate bambini, tipo il nome del ministro dei trasporti cinese. La domanda è seria, e la risposta non così scontata: Víctor Manuel Pecci. Sì, proprio lui, l’ex tennista con un piccolo diamante incastonato nel lobo dell’orecchia destra che brillava quando era colpito dal sole, acuendo il suo fascino da bell’ombroso con chioma corvina, carnagione olivastra e sorriso Colgate. Alla domanda di un giornalista sul perché di quell’orecchino, in un’epoca in cui era una scelta estetica tutt’altro che comune, pare che abbia risposto: “lo porta chi ama viaggiare”.
E di viaggi in giro per il mondo il buon Víctor non si può dire che non ne abbia fatti da quando, a 17 anni, capisce che la sua strada è il tennis professionistico. Asunción, la città che ha visto i suoi natali nel 1955, sulla carta non è uno dei punti di partenza migliori, dato che il tennis negli anni settanta è uno sport pressoché sconosciuto in Paraguay, dove campi, circoli e maestri si contano sulle dita di una mano. Lui però comincia a giochicchiare contro il muro del cortile di casa, anche se nulla gli fa né pensare né sognare di travalicarlo in qualche modo. Ha intenzione di studiare e semmai di giocare a tennis durante i week-end, ma il talento non intende né di tradizioni nazionali né di progetti personali. E Víctor Pecci talento ne ha. Eccome se ne ha. È, a detta del suo coach storico Tito Vázquez, una “Ferrari”. Per migliorare la dotazione di serie ha anche un fisico possente, con una statura di 193 centimetri (di certo non comune ai suoi tempi) e una struttura asciutta e longilinea, che gli consente di muoversi con agilità nei pressi della rete, dove dispiega con tocco ed eleganza le sue larghe ali. Se è rapido nelle discese a rete, lo è naturalmente meno, data la stazza, negli spostamenti laterali, un buon motivo per evitare il più possibile le battaglie da fondocampo con gente come Borg e i suoi emuli. Il servizio e lo smash sono armi potenti e precise, mentre il dritto non è così incisivo come il bel rovescio in slice, che esegue con maestria e gli consente impovvise e insidiose discese a rete, dove ricorda un po’ il nostro Adriano nazionale, con tuffi, tocchettini, veroniche e acrobazie varie. Qui lo vediamo in un match contro Connors impegnato in un pregevole tweener, che non ottiene l’effetto di fargli vincere il punto, ma sì quello di irritare (e non poco) il suo avversario:
Le carte in regola per diventare un eccellente giocatore, anche se magari non un numero uno, ci sono quindi tutte. In breve tempo entra infatti stabilmente nella top 50 e comincia a raccogliere i primi successi, sommando a fine carriera 10 titoli (anche se a dire il vero non fra i più prestigiosi) e ben 12 finali, con unbest ranking al numero 9, raggiunto il 21 aprile 1980. L’anno precedente aveva vissuto il suo momento di gloria, vincendo tre tornei (Nizza, Quito e Bogotá), e raggiungendo quattro finali, una delle quali nientemeno che nel Bois de Boulogne. Il suo percorso fino al turno desivivo di quello storico Roland Garros del ’79 non è facile, e si deve sbarazzare di alcuni fra i migliori specialisti del momento, come Barazzutti, Solomon, Vilas e Connors. Ma in finale lo aspetta, per ristabilire l’ordine delle cose, Bjorn “Bear” Borg, che bissa la recente vittoria delle semi di Montecarlo, e che lo rimanda a casa con un 6-3, 6-1, 6-7, 6-4 in valigia. Uno scontro che si ripeterà sempre a Parigi due anni dopo, con un’altra vittoria di Borg, questa volta in tre set. Consiglio vivamente la visione del seguente video che ci offre una breve sintesi dell’incontro, ma soprattutto, nella seconda parte, il privilegio di poter entrare negli spogliatoi e di ascoltare i commenti post-partita. Pecci ed il suo clan non possono fare altro che rendere serenamente omaggio al maestro svedese, il quale invece parlotta con Lennart Bergelin con lo stesso entusiasmo di chi sta facendo la coda alle Poste per spedire una raccomandata. Una chicca da non perdere:
Nonostante la sconfitta del ’79, Pecci diventa un giocatore e un personaggio che attira l’attenzione di giornalisti e addetti ai lavori, per non parlare degli sguardi meno tecnici, ma non certo meno interessati, delle ragazze di mezzo mondo. In Paraguay diventa eroe nazionale, e il tennis riceve grazie a lui tutte le attenzioni che fino a quel momento gli erano state negate. I giornalisti, digiuni di palline e racchette, devono mettersi in riga per poterne parlare con un minimo di cognizione di causa. Humberto Rubín racconta in un’ intervista come dovette addirittura impararsi in fretta e furia il punteggio e le regole del tennis prima di trasmettere la telecronaca della finale del Roland Garros!
Dopo l’exploit parigino, e a dimostrazione della polivalenza del suo gioco d’attacco, raggiunge la finale al Queen’s (battuto da McEnroe), per coronare in seguito la stagione con le vittorie a Quito e Bogotá. Poi un fisiologico periodo di appannamento, dovuto in parte anche al cambio di racchetta e all’abbandono della sua Fischer Team metallica. Ma la sua storia non è finita e nell’81 è protagonista della finale degli Internazionali d’Italia, persa contro Clerc, e riuscirà ancora a vincere quattro tornei, l’ultimo dei quali nel 1983, senza contare il doppio, specialità nella quale ha ottenuto in carriera ottimi risultati, con 12 tornei vinti, altrettante finali, e un best ranking al nº 28. E non va dimenticato che è stato ovviamente la pedina fondamentale sia in singolo che in doppio (in coppia con Francis González) della squadra de Davis che, grazie a lui, militò nella massima serie mondiale fra l’82 e l’89, con alcuni risultati di prestigio, come le vittorie dell’83 sulla Cecoslovacchia, dell’85 sulla Francia e dell’87 sugli Stati Uniti.
Dopo il ritiro, avvenuto nel 1990, Pecci ha seguito il percorso abituale della maggior parte degli ex pro che scelgono di continuare la loro carriera nel mondo della racchetta: maestro, coach, capitano di Davis, e giocatore nel circuito dei veterani, spesso presente nei match revival che si organizzano in occasione dei grandi tornei. Quello che è meno abituale è vedere un ex tennista riciclarsi come Ministro dello sport ma, come dicevamo all’inizio, questo è il prestigioso ruolo che ricopre in questo momento. Di lavoro ne ha per cercare di risollevare le sorti del tennis paraguaiano dopo il ritiro dei suoi due migliori rappresentanti degli ultimi tempi, Ramón Delgado e Rossana de los Ríos. Se cerchiamo “Paraguay” nei ranking Atp e Wta il risultato è infatti, in entrambi i casi, eloquente. Il numero di giocatori presenti corrisponde a zero. Buon lavoro Víctor!
Ma invece di pensarlo incravattato in una lunga e triste seduta parlamentare, io preferisco immaginarlo in una calda notte di mezza estate in una discoteca parigina, insieme a Gerulaitis, Panatta e Borg, con un Cuba Libre ghiacciato in mano e circondato da un gruppo di bellissime fans. Le stroboscopiche pulsano al ritmo di Daddy Cool dei Boney M., e un raggio di luce parte dalla Mirrorball e va dritto a illuminare un piccolo orecchino di diamante. Ma non datemi retta, sono solo farneticazioni. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è del tutto infondato.
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