Viaggio nei Challenger: Una Provincia troppo stretta

calta_challenger
(Centrale del Challenger di Caltanissetta)

di Andrea Martina

I challenger sono il purgatorio. Un gradino sopra si trova il circuito ATP circondato da riflettori e assegni profumati, un gradino sotto abbiamo l’inferno dei tornei Futures dove i soldi sono sufficienti a pagare le proprie spese e le difficoltà per salire si moltiplicano.

In questo viaggio che si dividerà in alcuni articoli, proveremo ad immergerci nella polvere dei challenger e scoprire le caratteristiche di un mondo sicuramente molto più umano e imprevedibile.

Tanto per cominciare occorre fare qualche premessa sui “gradini” che accompagnano le porte di ingresso e di uscita dei challenger. Nel circuito maggiore ATP, ad esempio, abbiamo una divisione interna di tornei (Slam, Master 1000, ATP 500 e ATP 250) che permette ai tennisti di avere una classifica che il più delle volte rispecchia le sentenze del campo. Inoltre, con un massimo di tre tornei a settimana (il più delle volte nello stesso continente), è molto facile nelle 40 settimane della stagione affrontare almeno una volta gran parte dei partecipanti al circuito maggiore, praticamente si conosco tutti.

Discorso opposto, invece, viene fatto per il circuito Futures. I partecipanti di questi tornei giocano praticamente due sfide: una in campo contro l’avversario avversario e l’altra fuori con il proprio portafogli. Paradossalmente con l’abbassarsi del livello crescono le spese per loro: insieme a premi in denaro che diminuiscono sensibilmente si affianca l’impossibilità degli organizzatori di offrire l’ospitalità ai protagonisti del torneo che, oltre ad attrezzatura, viaggio ed eventuale allenatore, sono costretti a pagarsi il pernottamento.

I conti devono quadrare, altrimenti si rischia di rimanere per diversi mesi fuori dai tornei. Anche alcuni grandi campioni ci sono passati e, per rendere l’idea delle difficoltà in cui viaggia questa categoria, un ex numero 3 come Davydenko era costretto a lunghi viaggi in auto in giro per l’Europa accompagnato da suo fratello. Il tennista russo ha guadagnato in carriera di soli premi oltre 16 milioni di dollari, ma all’inizio dormiva in macchina nel parcheggio del circolo e mangiava panini nei discount.

Tutti questi aspetti messi insieme fanno sì che in questi tornei ci siano molti tennisti che non riescono a sfondare oltre i confini nazionali, giovani under 18 affamati che iniziano ad affacciarsi nel professionismo ed esperti mestieranti a fine carriera che giocano solo 5-6 tornei all’anno e hanno praticamente abbracciato la carriera dell’insegnamento.

Ed i challenger? Quali sono le specie tennistiche che abitano questa giungla? Ci arriveremo più avanti, visto che in questo articolo si parlerà di tornei ed organizzatori puntando l’obiettivo su un’anomalia tutta italiana: il paese che organizza più challenger nel mondo.

Prima, però, occorre fare una piccola premessa. In Italia si giocano gli Internazionali di Tennis a Roma, categoria Master 1000, uno dei tornei più importanti e belli d’Europa che nelle ultime edizioni ha superato (stando alle dichiarazioni di chi scende in campo) lo spettacolo e la partecipazione del Master 1000 di Madrid che si gioca una settimana prima.

Per 10 giorni il Foro Italico ospita i migliori atleti in circolazione del tennis maschile e femminile. E negli altri 355 giorni?

Se vogliamo mantenere il paragone con la Spagna possiamo subito notare come loro siano in grado di organizzare oltre al torneo di Madrid anche due ATP 500: Barcellona sulla terra e Valencia sul veloce indoor. Come mai l’Italia non riesce ad andare oltre al torneo di Roma?

Per affrontare questo tema possono aiutarci alcuni numeri. Per quanto riguarda il Foro Italico si può constatare che da alcuni anni vengono sistematicamente battuti i record di incassi e spettatori, mentre nel resto d’Italia un elevato numero di tornei challenger da nord a sud dimostra come il pubblico sia affamato di tennis di alto livello. Il movimento è sano e la domanda c’è.

E allora perché non si riesce ad organizzare un ATP 250? L’ultimo caso risale a circa 8 anni fa con gli Internazionali di Palermo, evento del circuito maggiore che resisteva addirittura dal 1979.

IL CONFRONTO CON LE ALTRE NAZIONI. Oggi l’Italia vanta ben 19 tornei challenger e gli Stati Uniti (che possono essere considerati come un continente) ne hanno solo 16. Nessuno riesce a superarci nonostante l’emorragia di challenger europei negli ultimi 5 anni: 20 tornei in meno. Nel 2009 l’Italia organizzava addirittura 25 tornei challenger e se mettiamo insieme i tornei della stessa categoria che organizzavano in quell’anno Francia, Spagna e Germania arriviamo a 24.

In questi anni abbiamo visto tennis di grande qualità ad Amburgo, Stoccarda (dal 2015 su erba), Barcellona, Valencia, Madrid, Dusseldorf, Halle e Monaco. Un’offerta di tennis che il nostro paese può solo sognare.

UN PASSATO CHE SMENTISCE IL PRESENTE. La storia ci insegna che in passato la situazione era completamente diversa. Visti oggi, il 1992 e il 1993 sembrano essere preistoria, dato che nel Belpaese si disputavano sette (7!) tornei del circuito maggiore: Milano (veloce indoor), Internazionali di Roma, Bologna (prize money da 1, 5 milioni di dollari), Firenze, Genova, Palermo e Bolzano.

Uno dei protagonisti di questo boom fu sicuramente Cino Marchese, manager tennistico italiano, che riuscì grazie alla filosofia delle sponsorizzazioni estese a tutti i tornei di far vivere molti eventi costruendo una vera e propria rete. Sponsor come la Peugeot, ad esempio, figuravano in tutti gli ATP italiani.

Le cause del lento disfacimento di questi tornei furono diverse: prima di tutto arrivarono le dimissioni di Marchese proprio nel 1993, poi alcuni circoli iniziarono a prendere in seria considerazioni la vendita della data ad altri tornei vista la forte pressione delle nazioni emergenti. Vendendo una data ad un altro torneo si riuscivano ad incassare cifre intorno al miliardo e molti consigli d’amministrazione ne approfittarono per ripianare bilanci azzoppati o ristrutturare il proprio circolo.

Il colpo di grazia, poi, fu dato proprio dall’ATP che iniziò sotto la spinta dei tennisti a ridurre drasticamente il numero di tornei nell’arco di una stagione: chi rimaneva era costretto a rispettare vincoli molto rigidi, uno su tutti l’aumento del montepremi.

Genova Challenger
(Genova Challenger)

GLI ULTIMI CINQUE ANNI DI CHALLENGER: UNA CRISI MORBIDA. L’idea di ospitare un ATP 250 in Italia è ancora molto lontana, ma anche i challenger iniziano a diminuire. Negli ultimi cinque anni siamo passati da 25 a 19, ma la cronistoria dei tornei scomparsi vede vittime illustri.

2011: cancellati i tornei di Rimini, Reggio Emilia e Sanremo. Tutti e tre erano riusciti abbondantemente a superare le cinque edizioni consecutive

2012: scompare la Trani Cup, evento di cartello del tennis pugliese che era attivo dal 2002. Gli Internazionali di Palermo dopo 28 anni nel circuito ATP avevano ripreso ripartendo dalla categoria challenger nel 2009, ma dopo sole tre edizioni vengono cancellati.  Il torneo di Manerbio abbandona il circuito dopo 13 anni. Anche il torneo di Alessandria, comune in grave crisi economica, annuncia di ritirarsi dal calendario. Sempre in Piemonte, l’importante challenger di Torino annuncia il suo ritiro accompagnato dalle polemiche del presidente: “l’ATP dovrebbe tutelare che organizza questi tornei imponendo in qualche modo presenze importanti. Organizzare un 100.000 costa circa 230.000€ annui e il campo di partecipazione è simile a quello di un 30.000”

2013: Dopo 16 anni un altro appuntamento del tennis pugliese, l’Open di Barletta, è costretto ad uscire dai challenger. In Brianza rinuncia anche Monza che era in calendario dal 2005.

2014: fine del torneo Rai-Open, appuntamento abituale che dal 2009 anticipava il Foro Italico. Chiude anche il torneo di Napoli, presente in calendario dal 1995. In quest’ultimo caso, però, ha inciso la volontà di ospitare il quarto di finale di Coppa Davis contro la Gran Bretagna.

ESEMPI VIRTUOSI: IL VENETO E I CAMPI VELOCI. Fortunatamente c’è chi continua a sperare ed investire in nuovi tornei sperando che un giorno si possa fare il grande salto. Nel Veneto quest’anno ci sono state quattro “new entry”: Vicenza, Padova, Mestre e Cortina. Grazie al buon lavoro di rete fatto dalla federazione regionale è stato possibile portare dell’ottimo tennis in provincia e far crescere eventi che fino allo scorso anno erano dei Futures 15.000. Un ottimo esempio di ambizione viene dato ancora dalla Sicilia nel torneo “Città di Caltanissetta” che, superando i 100.000 dollari di montepremi, è diventato il secondo torneo italiano per importanza.

Ma non finisce qui. Sull’onda dell’interessante esperimento lanciato da Ortisei nel 2010, si sono accodati prima il torneo pugliese di Andria e da quest’anno quello di Brescia: la particolarità di questi eventi sta nell’aver sposato un periodo (quello autunnale) in cui il tennis in patria, appiattito sulla terra rossa, sembra fermarsi. Grazie al veloce indoor si è creata una potenziale mini – tournée di fine stagione per tennisti ambiziosi che vogliono chiudere nei primi 100 e atleti di casa che potrebbero misurarsi con più frequenza su queste superfici. Un piccolo passo avanti da affiancare all’egregio progetto “Campi veloci” sostenuto da Roberto Commentucci.

PROSPETTIVE. Organizzare un torneo ATP oggi vuol dire mettere in bilancio 2 milioni di euro, una somma molto importante considerando che occorre acquistare prima di tutto una data da un torneo già esistente (e il più delle volte i circoli internazionali se la tengono molto stretta) e individuare un periodo della stagione favorevole alla presenza dei grandi campioni, ma anche questo aspetto sembra essere un tabù.

L’esempio di Marchese potrebbe invitare alcuni challenger a fare rete e crescere, ma con l’attuale periodo economico sembra essere molto più probabile aspettarsi che una piazza importante (Milano o Napoli) riesca a trovare gli accordi e le relazioni giuste per presentare un progetto importante. Per il momento quel 1993 resta tristemente lontano.

Leggi anche:

    None Found