(Luca Vanni, Gianfranco Palini, Thomas Fabbiano e Fabio Gorietti)
di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)
Ogni scelta è un bivio, ogni bivio è un’alternativa. Quella strada che tutti noi vorremmo ogni giorno che fosse a senso unico in realtà presenta lungo il nostro cammino poche indicazioni ed ostacoli a volte insormontabili. Sono infatti pochi coloro che imboccano la via giusta, fra questi però, c’è Luca Vanni. Una stagione, quella appena conclusa, iniziata da numero 833 del ranking ATP a causa di un’operazione al tendine rotuleo subita qualche mese prima e finita oltre ogni più rosea aspettativa, da numero 151 del mondo (suo attuale best ranking). Non se l’era di certo immaginata così neanche lui, a dire il vero pochi avrebbero puntato sul suo rientro a questi livelli considerata l’età (28 anni, non proprio un giovincello) e la gravità dell’infortunio. Ecco il perché dunque di questa introduzione, il famigerato bivio che pone tutti noi comuni mortali dinanzi ad una decisione. Il dilemma di Luca in quei giorni di metà febbraio 2013 era: smettere o continuare? Oggi fortunatamente siamo qui a commentare una stagione strepitosa, condita da sette trionfi in tornei futures, due semifinali ed una finale challenger. A coronamento di una grande annata, non poteva mancare il giusto riconoscimento: Luca Vanni vincitore dell’Ace Cube nella categoria “Sorpresa Maschile 2014”. In un tennis in cui gli elogi sembrano riservati solo a coloro che occupano posizioni di vertice, non posso che congratularmi e dire: “Chapeau”.
Una stagione strepitosa impreziosita dal premio Ace Cube come “Sorpresa Maschile 2014” ottenuto col 50% delle preferenze. E’ la classica ciliegina sulla torta?
Sì, devo ammettere che ci speravo, è sempre bello vincere un premio. Penso rappresenti una forte gratificazione per me dopo un anno incredibile. L’avremmo meritato in tanti perché anche le stagioni di Roberto Marcora, Stefano Travaglia e Andrea Arnaboldi sono state ottime. Sono rimasto invece un po’ dispiaciuto per Fabio (coach Gorietti). Credo che Nargiso abbia fatto un ottimo lavoro con Mager e Basso ma sinceramente speravo potessimo festeggiare insieme sia io che il mio allenatore.
Tracciamo un bilancio di questa stagione: sette titoli futures, due semifinali ed una finale challenger. Hai dimostrato di non soffrire più di tanto il passaggio di livello. Ci racconti come è andata questa splendida annata? Hai nonostante il best ranking raggiunto qualche rimpianto?
Non posso che ritenermi soddisfatto. Ho iniziato l’anno partendo quasi da zero e lavorando sodo sono riuscito a costruirmi un’ottima classifica ripartendo dai tornei futures e vincendone ben sette. Ho ripreso poi invece a giocare i tornei challenger da metà luglio. La mia prima apparizione a livello challenger quest’anno è stata a Portoroz, in Slovenia, dove ho perso da Thomas Fabbiano al secondo turno. Contro di lui non è mai semplice giocare perché stando spesso insieme ci conosciamo perfettamente e sappiamo i pregi ed i difetti dell’uno e dell’altro. A Kaohsiung invece l’avversario più duro è stato il clima, il caldo era davvero insopportabile ma sono riuscito ad arrivare in finale lo stesso perdendo in tre set lottati da Yen-Hsun Lu. Bene poi anche a Bangkok e a Shanghai dove ho raggiunto le semifinali, gli unici risultati che non ho digerito sono state le sconfitte in Turchia, in Kazakistan ma soprattutto nelle qualificazioni al main draw degli Us Open contro Collin Altamirano. Lì credo abbia giocato l’emozione, probabilmente se l’avessi incontrato in un torneo challenger ci avrei vinto. Dovendo analizzare la stagione appena terminata non posso che essere felice e fiero di quanto ho fatto. Riguardo al cambio di livello non credo di averlo sofferto, anzi, ho lottato con tennisti come Lu, Devvarman e Krajinovic, gente che è stata o che merita ampiamente di essere nelle prime 60-70 posizioni al mondo.
Spesso infortuni come quello che hai subito, soprattutto all’età di 28 anni, pongono di fronte ad una scelta ardua. Come sei riuscito a ripartire ed a raggiungere traguardi fino a poco tempo fa insperati? Pensi che questo episodio ti sia servito per riflettere e prendere piena consapevolezza dei tuoi mezzi?
Penso che sia scattato in me qualcosa a livello mentale. Sapevo di non aver dato tutto ancora per questo sport e l’infortunio che ho subito, in una fase discendente della carriera, mi ha fatto riflettere. Stare fermo e vedere gli altri tennisti che giocavano, inconsciamente mi ha dato la spinta per cercare di tornare almeno ai livelli prima dell’operazione. Alla fine fortunatamente è andata molto meglio di quanto potessi sperare. Mi hanno aiutato le persone a me più vicine, dalla ragazza ai familiari ma anche e soprattutto il mio allenatore Fabio Gorietti insieme ad Alessio Torresi, il dottore Jacopo D’Ascola e tutti coloro che lavorano alla Tennis Training School. A settembre dello scorso anno ero dubbioso, non sapevo cosa fare, anche perché ripartire da capo comportava sacrifici non da poco, soprattutto economici. Ho avuto un colloquio con Fabio che mi ha rassicurato dicendomi che credeva in me e che nel giro di pochi mesi sarei potuto tornare tranquillamente attorno alla 300esima posizione. Una volta tornato a giocare, vittoria dopo vittoria, è cambiato l’approccio alle partite: mentre in passato avrei accettato più a cuor leggero una sconfitta con Lu o sarei partito forse già battuto, quest’anno no. Quando scendo in campo devo vincere, conta sì la bella prestazione ma se non si porta a casa il risultato, indipendentemente da chi si ha di fronte, è tutto inutile. Questo è quello che mi è mancato in passato, avere semmai buone qualità, ma non avere poi la piena consapevolezza dei miei mezzi.
La nuova stagione ormai è alle porte: quali sono i tuoi obiettivi in vista del 2015?
L’obiettivo è certamente quello di provare a giocare tutti e quattro i tornei dello Slam a partire già da Melbourne. Almeno per i primi tre Slam non avrò problemi riguardo l’iscrizione alle qualificazioni perché sino a quella data non ho in scadenza punti pesanti. Dopodiché già a partire da gennaio inizierò la mia avventura nel circuito ATP disputando prima degli Australian Open, Chennai ed Auckland. Sicuramente alternerò settimane di tornei ATP a tornei challenger, a seconda del calendario. Per quanto concerne la classifica vorrei entrare fra i primi cento al mondo o comunque avvicinarmi il più possibile. Questo è l’obiettivo che ho sin da quando ero più piccolino e oggi, come mai in passato, ci credo per davvero. Non lo dico perché voglia essere presuntuoso anzi, spesso e volentieri, nella mia vita sono stato un po’ troppo critico con me stesso. E’ ora di cambiare e vedere le cose diversamente senza che siano solo gli altri a fartelo notare.
Questo è il periodo più duro, quello della preparazione invernale. Avete cambiato qualcosa a livello di programmazione rispetto gli scorsi anni? La tua classifica odierna ti impone visto il livello che andrà via via aumentando di apportare qualche modifica al tuo gioco? Ci stai lavorando?
Attualmente sto svolgendo la preparazione alla Tennis Training School di Foligno. A livello di ore di lavoro sono le stesse degli anni passati seppur suddivise in maniera differente. Adesso facciamo solamente una sessione al mattino ed una al pomeriggio divise rispettivamente in tre ore di tennis e due di atletica. E’ una preparazione basata sull’andare a limare alcune piccolezze cercando di ottenere dei piccoli miglioramenti. Di sicuro alla mia età non si può certo andare snaturare i colpi, però a livello di atteggiamento qualche modifica la sto provando ad apportare, ad esempio cercherò di essere più aggressivo e propositivo. Sto lavorando sul discorso delle discese a rete anche perché non sono uno di quei giocatori che rema da fondo, il mio gioco abbastanza piatto non me lo permette. Questo mi dovrebbe portare ad un minor dispendio fisico ed a chiudere gli scambi nella maniera più breve possibile.
Il servizio è sicuramente la tua arma migliore. Come mai secondo te alcuni italiani hanno nella battuta un punto di debolezza? In un tennis come quello moderno, molto più potente e fisico rispetto al passato, non sarebbe il caso sin da quando si è già più piccoli affinare questo tipo di colpo?
Sì senza dubbio il mio miglior colpo è il servizio, agevolato anche dalla mie caratteristiche fisiche. Attraverso la battuta è possibile togliersi dai guai nei momenti più difficili, lo considero un vero e proprio jolly a mio favore. Poi secondo me molto dipende anche dalle scelte che si fanno in relazione al proprio tipo di gioco. Mi spiego meglio: al giorno d’oggi un po’ tutti sanno servire bene e forte, solo che vi sono tennisti che si fidano più dei colpi da fondo campo che non nella propria battuta. Per questo molti preferiscono tirare una prima al 70% piuttosto che rischiarla, perché correre il rischio di commettere doppio fallo quando sono più sicuro dei miei fondamentali? Io sono uno di quelli che il 95% delle volte la prima di servizio prova a tirarla, perché preferisco in certe situazioni di punteggio affidarmi al mio colpo migliore. Riguardo al fatto di lavorare sin da quando si inizia a giocare a tennis sul servizio sono d’accordo, serve più che altro per iniziare ad acquisire i movimenti base e non trovarsi quando si è più in grandi spiazzati da questo punto di vista e in grado di giocare solo da fondo campo.
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