Valentino Rossi e Roger Federer. Così diversi, così tremendamente uguali. C’è un palese filo che unisce le carriere di due delle più folgoranti leggende del mondo dello sport. 36 anni il Dottore di Tavullia, quasi 34 il Maestro di Basilea, ma entrambi animati da un fanciullesco e sacro fuoco interiore che arde oggi come allora. Con l’immutata voglia di fare ancora la staccata da paura o di dipingere l’ennesima volée. Con la forza e l’umiltà di rimettersi in gioco, di stupire e stupirsi, di essere ancora e sempre protagonisti.
Impossibile non notare le molte analogie che contraddistinguono le storie Rossi e Federer, nel modo di vincere dominando ma anche di perdere, di cadere e di rialzarsi, di far innamorare la folla, di essere icona assoluta di uno sport e dello sport. Entrambi sono stati avvolti da un alone di imbattibilità fatto di anni in cui per il resto del mondo la massima vittoria era arrivare secondi. Nel lustro 2001-2005 Rossi si è laureato campione del mondo cinque volte di fila mettendo le ruote davanti a tutti 51 volte in 81 gran premi, una percentuale di vittorie del 63%. Federer nel quadriennio 2004-2007 ha vinto undici prove dello Slam su sedici disponibili. Anni di intoccabilità, di irraggiungibile superiorità.
Ma non c’è solo il dominio, anzi a rendere forse ancora più affascinanti e vicine le carriere di Vale e Roger ci sono gli anni bui, la flessione, la discesa verso standard quasi normali di chi con la normalità ha poca dimestichezza. Rossi nel 2011 termina la stagione in settima posizione, scendendo dal podio mondiale come non accadeva dal 1996. Nello stesso anno Federer non fa centro nei Major, come accadeva ininterrottamente dal 2003, raccogliendo una sola finale persa con Nadal a Parigi. Gli Dei non sono più imbattibili, diventano vulnerabili, umani, per alcuni sono addirittura finiti.
Smentire tutti e tutto, tornare a vincere, a divertire e divertirsi. E’ questa forse la vittoria più grande. Valentino e Roger non sono solo baciati da una sconfinata dose di talento, ma sono entrambi animati da una voglia di guidare e giocare decisamente fuori dal comune. A differenza di altri campionissimi del passato, lo sport non li ha logorati. Loro si cibano di competizione e non ne sono ancora sazi. Hanno saputo adattarsi all’evoluzione delle rispettive discipline, si sono reinventati ma rivoluzionando al tempo stesso lo sport di appartenenza. Hanno attraversato tecnologie, generazioni, materiali e superfici. Si sono presi lo scalpo di chi c’era prima di loro ed ora si divertono da matti a duellare (e spesso bastonare) con chi ha la carta d’identità decisamente più clemente.
“Io secondo al mondiale, tu al numero uno Atp” lanciava così la scommessa Rossi a Federer nello scorso ottobre. Valentino quel mondiale lo ha terminato davvero in seconda posizione dietro a Marc Maquez, giovane fenomeno col futuro da imbattibile. Federer non è riuscito nella scalata alla vetta, ma ha fatto sentire il fiato sul collo ad un Djokovic per tutti inarrivabile. Nel 2015 lo svizzero ha già incamerato due titoli, con tanto di vittoria sul serbo nel feudo di Dubai, ed al momento difende saldamente la seconda posizione alle spalle di uno che ha ben poco di umano. Due come i successi in tre gare griffati dal trentaseienne di Tavullia, l’ultimo arrivato proprio a termine di un gomito a gomito con Marquez nel GP d’Argentina. Probabilmente Federer non vincerà ancora Slam e non tornerà sul gradino più alto del ranking, così come Valentino non centrerà mai il decimo titolo mondiale. Ma vederli ancora lì, sulla cresta dell’onda ad un’età in cui potrebbero serenamente starsene beati in ogni parte del globo a godersi una carriera d’oro, è spettacolo puro.
Ogni loro vittoria oggi lascia un diverso sapore in bocca, un sapore forse perfino più dolce di quello che fu. Gli anni passano per tutti allo stesso modo, con un inesorabile incedere che porterà prima poi quei due meravigliosi polsi destri a non spalancare più il gas, a non disegnare più quelle incredibili traiettorie. Il Dottore ed il Maestro sono icone talmente potenti di motociclismo e tennis che probabilmente col loro ritiro una parte di quello sport (e degli appassionati) se ne andrà, o comunque sarà irrimediabilmente modificata. Una cosa però è certa: il momento del congedo non è già arrivato perché Vale e Roger si divertono ancora da matti a vedere la bocca spalancata di stupore del mondo di fronte all’ennesima impresa. E se sono lì, in mezzo alla bagarre, è perché di bocche spalancate vogliono vederne ancora.
E’ chiaro che entrambi sono in una fase di tramonto perché a 36 e 34 anni non potrebbe essere altrimenti. Per loro però si tratta di un tramonto dorato, magico. Un tramonto che è solo l’anticamera dell’immortalità sportiva. Eternamente grazie Vale. Eternamente grazie Roger. Così diversi, così uguali.
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