di Sergio Pastena
Silent ban. Due parole che richiamano il silenzio e che, invece, negli ultimi mesi hanno creato un baccano mai visto.
La storia in pillole per chi non la conosce: Marin Cilic, tennista croato ex Top, durante l’ultimo Wimbledon si ritira prima del secondo turno contro il francese De Schepper. Versione ufficiale: infortunio al ginocchio. Il croato da quel momento non torna piú in campo, neanche per difendere il titolo conquistato l’anno scorso ad Umago: ufficialmente é sempre infortunato.
Fin qui tutto sembra normale, cose che capitano, se non fosse che a un certo punto i media croati riportano la notizia, “spifferata” da un medico di Spalato, secondo cui Cilic sarebbe stato trovato positivo all’anti-doping a causa di alcune barrette di glucosio, acquistate a quanto pare da sua madre e diverse da quelle che lui prendeva di solito, anche se con una confezione simile.
I giornalisti pestano duro, sostengono che l’Atp gli abbia inflitto tre mesi di sospensione a partire dalla data del controllo (Amburgo, fine aprile) senza peró comunicare la cosa in pubblico. In pratica, un “silent ban”. Fatto sta che prima di quel momento Cilic era ufficialmente infortunato e, subito dopo, i fatti hanno cominciato a venire fuori fino alla squalifica di nove mesi arrivata in settimana: il croato sará out fino a febbraio 2013.
Una storia di silenzi agghiaccianti. Quello del ban, quello di Cilic che non confermava e non smentiva, quello dell’Atp che non ha detto niente troppo a lungo. Silenzi agghiaccianti perché agghiacciante era la prospettiva che potesse davvero esistere un “silent ban”. E adesso? Semplice: la squalifica di Cilic non riabilita minimamente i “comandanti” del tennis e, anzi, crea danni allucinanti.
L’elenco dei motivi é pressocché infinito, andiamo a vederli.
Danneggiamento della credibilitá
Qualche settimana fa Gianluigi Quinzi, con la schiettezza tipica degli adolescenti, ha detto in tutta tranquillitá di non avere idea di come i campioni facessero a recuperare velocemente dopo match lunghissimi di cinque set. Molti hanno criticato l’uscita, suggerendo maggiore diplomazia.
Ok, ci sta, ma se non altro ai dubbi di un ragazzo si puó rispondere dicendo “Guarda che quegli atleti si sono sottoposti a tantissimi controlli antidoping uscendone puliti”. Una risposta del genere, in realtá, certezze non ne dá viste le mille diavolerie che emergono ogni giorno: nuove sostanze non rintracciabili, farmaci dall’emivita brevissima, doping genetico. Tuttavia si lancia un messaggio importante, ovvero che c’é chi vigila e chi bara, prima o poi, viene preso (forse).
Ma ora? Ora è tutto diverso. Dopo il ritiro della Bartoli, ad esempio, su internet si è cominciato a parlare neanche troppo velatamente di “silent ban”: “Ma come, stava giocando male, poi vince Wimbledon, si ritira ma lascia la porta aperta per un ritorno?”. Scorretto come ragionamento? Certo, ma prevedibile: al prossimo infortunio di Nadal vedrete cosa succederà…
Disparitá di trattamento
Il “silent ban” non é una forma di tutela della privacy, ma un privilegio.
Per quanto in buona fede, infatti, un tennista é responsabile delle cose che assume e, se viene colto in fallo, anche se giudicato innocente una macchia resta, quanto meno quella della leggerezza nell’assumere certe sostanze senza controllarne la provenienza.
Le macchie causano gravi danni alla reputazione, che si ripercuotono sui contratti, ergo un “silent ban” vuol dire annullare una parte della pena limitando i danni economici. In passato sono state rese pubbliche anche squalifiche per motivi sinceramente ridicoli (Volandri ha ricordato il suo caso “Ventolin”). All’epoca, nonostante la palese buona fede, tutto venne reso pubblico.
Stavolta, invece, tutto è stato reso pubblico dopo che qualcuno l’ha spifferato, e ció rafforza ancora di piú, se ce ne fosse bisogno, l’odiosa convinzione che per motivi commerciali si tenda a tutelare maggiormente atleti di fascia alta. È sempre piú difficile credere che non c’entri il fatto che si parli di un ex Top 10 giá semifinalista agli Australian Open e tra i migliori tennisti della sua generazione.
La breccia di Porta Pia
Nel ciclismo nessun atleta che viene beccato per doping puó giustificarsi dicendo “Ce l’hanno con me”. Nel tennis, invece, da ora in poi ogni atleta di “media levatura” potrebbe attaccare la tiritera che beccano solo lui e non i big, che é tutto marcio e bla bla bla. E avrebbe pure ragione. La commedia dell’ultimo minuto con Cilic non ha incantato nessuno: la positività andava resa nota prima, non si puó lasciare che passi del tempo tra i risultati delle analisi e la loro comunicazione al pubblico. Hanno aperto una breccia, ora non é possibile credere che la cosa, senza quel medico canterino, sarebbe stata resa nota comunque.
In giro sul web ho letto commenti di persone che dicevano “Vabbé, ma vi rendete conto che cosí rischia proprio di saltare il tennis. Capite che danno economico?”. Una mentalitá figlia di chi sostiene che, alla fine, “sia tutto un business”. Mentalita non isolate se é vero che di recente ho visto ridurre i tornei per nazioni a banali transazioni commerciali come se noi, durante quelle partite, non tifassimo per l’Italia ma per i conti bancari dei singolaristi.
Se il tennis deve essere questo, personalmente, passo al badminton, che tanto recenti studi han dimostrato che serve a correggere la vista e io sono pure miope…
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