di Fabio Ferro
Ci sono campionissimi, preziosi come il platino, dal tennis ricco e splendente, e ci sono campioni duri come l’acciaio, più forti delle avversità e con un tennis fatto di resistenza e di colpi essenziali ed efficaci. Un esempio della seconda specie è Tommy Robredo, classe 1982, 180 cm per 75 kg. Tommy fa parte della scuola spagnola del credo “sudore e sangue”, quella basata sulla resilienza e sulla concentrazione a tutti i costi. Per i più è uno dei tanti spagnoli, ma per i veri appassionati del tennis professionistico, rappresenta un vero esempio di longevità agonistica, di dedizione e di capacità tecniche indiscusse.
Nella sua carriera, Tommy ha sempre lottato per avere una posizione nel tennis, sia mondiale che spagnolo, facendolo contro tennisti veri: Federer, Safin, Agassi, Nadal, Ferrer, Djokovic, molti dei quali battuti in più occasioni. Ha vissuto, e continua a vivere, il vero momento d’oro del tennis, quello fisicamente e tecnicamente più difficile nella storia. Eppure, in tutti questi anni, dal 2003, Tommy è sempre stato nei primi giocatori al mondo, mai fuori dagli schemi e mai fuori dalle righe, mantenendo un comportamento in campo esemplare, fatto di concentrazione, rispetto per gli avversari e mostrando una attitudine alla lotta davvero fuori dal comune.
Robredo si presenta sulla scena del tennis mondiale nel ’99, a 17 anni, quando ancora non aveva raggiunto la sua altezza attuale, era ancora un giovanotto inesperto, ma con un carattere deciso, talmente deciso che alla sua prima apparizione in un torneo Atp, precisamente a Barcellona, batte il nostro Davide Sanguinetti e Marat Safin. Un inizio scoppiettante. È il 2009 e Tommy occupa la posizione n. 410 del ranking mondiale, grazie a i tornei challenger, e fa molto ben sperare per il futuro del tennis spagnolo. Nel 2001 diviene il secondo giocatore più giovane, dopo Roddick, a 19 anni, 8 mesi a chiudere l’anno in Top 30 ATP, conquistando il suo primo titolo a Sopot e perdendo due finali, una delle quali a Barcellona.
Nel 2002 debutta in Coppa Davis, nel Match contro Roddick, durante Spagna-Usa. Ben figura, ma si arrende all’americano che è nel suo anno di grazia. Nel 2003 raggiunge i quarti di finale al Roland Garros, battendo il n.1 del ranking, Lleyton Hewitt, e il tre volte campione Gustavo Kuerten. Nello stesso anno raggiunge le Finali a Stoccarda e le semifinali a Bastad, perdendo da Coria. Nel 2004 diventa il n.2 spagnolo dietro a Carlos Moya, vince il titolo nel torneo di Barcellona e rigioca in Coppa Davis, partecipando alla vittoria del Titolo finale. Il 2005 riconferma Tommy nella Top 20 mondiale, dietro i nuovi campioni spagnoli Nadal, Ferrer e Ferrero, arrivando ancora ai quarti di finale al Roland Garros e quarto turno agli Us Open, battendo ancora una volta Safin sulla terra francese e James Blake sul cemento americano. Nello stesso anno mantiene un record di 3 vittorie e 7 sconfitte con i Top Ten. Il 2006 è la migliore stagione per Robredo, grazie all’ingresso in Top Ten e ad un record di 49 partite vinte in stagione. A ridosso degli US Open è n.5 del ranking, Dopo aver fatto suo il primo titolo Master e centrato una storica qualificano al Master finale. Nel 2007 conquista i quarti di finale a Melbourne, Miami, Roma e Parigi, mentre a New York esce al terzo turno. Tutto ciò gli vale la prima piazza da riserva al Master Finale, chiudendo per il secondo anno consecutivo in Top Ten. Il 2008 è un anno di transizione, cominciano a vedersi nuovi campioni, più giovani, che gli rendono la vita difficile, ma Tommy chiude l’anno nella Top 30. L’anno successivo risale in Top 20, sia in singolo che in doppio, vincendo due titoli, a Costa do Sauipe e Buenos Aires. Nel 2010 comincia a pagare qualcosa in termini di infortuni, soprattutto alla schiena, che lo costringono ad un doppio ritiro durante la stagione su terra rossa europea. Chiude l’anno in top 50, senza aver vinto un titolo, dopo 5 anni. Il 2011 è l’anno dell’uscita dai Top 50, nonostante il titolo vinto ad inzio anno sa Santiago, la sua stagione diviene disastrosa a causa di un infortunio serio alla gamba destra. Per lo stesso motivo, nel 2012 esce dai primi 100 giocatori al mondo, recupera l’infortunio e torna a giocare i tornei Challenger. Il suo ritorno alla vittoria avviene in Italia, al Challenger di Caltanissetta e poi a Milano, ma il suo miglior risultato negli Slam è un secondo turno agli Us Open. Dai Challenger Tommy risorge e si presenta in ottima forma per il 2013, conquistando i tornei di Casablanca e Umag, i quarti di finale al Roland Garros, terzo turno a Wilmbledon, prima di stabilire il suo record personale agli Us Open nei quarti di finale, battendo Federer. Chiude l’anno in top 20. Il 2014 lo vede alla 21 piazza mondiale, dopo aver raggiunto il terzo turno a Melbourne, Parigi, Indian wells, mentre a Wilmbledon si arrende solo a Federer nel quarto turno. Si rende protagonista della sconfitta di Novak Djokovic nel Master 100 di Cincinnati, aprendo la strada a Federer per il suo ottantesimo titolo.
Abbiamo ancora negli occhi la finale raggiunta pochi giorni fa nel torneo Atp 250 di Shenzen, nella quale non ha convertito 5 match point nel tie-break del secondo set, altrimenti staremmo parlando di un altro titolo per Tommy Robredo.
Dal resoconto di una carriera lunga 15 anni, emerge una certa redditività di risultati, specie nel lungo periodo. Tommy ha sempre fatto punti utili in quasi tutti i tornei a cui ha partecipato, non mancando mai gli appuntamenti importanti e mantenendo un rendimento costante durante le stagioni, motivo per cui si è sempre trovato stabilmente in Top 30. Negli Slam, in tutta la carriera, solo due volte ha perso al primo turno, mentre, per molti anni ha raggiunto almeno due terzi turni in un anno. Nei Master 1000 ha fatto altrettanto e solo in due stagioni, oltre all’attuale, ha chiuso l’anno senza un titolo. Sono dati che rappresentano, se non un campione di gioco, almeno di continuità e costanza di risultati. Ha mantenuto un livello di tennis sempre molto alto, non altissimo, ma ha sempre rappresentato uno scoglio duro da superare per tutti i suoi colleghi, non solo perché è stato assistito da un fisico d’acciaio e da gambe che molti gli invidiano, ma soprattutto perché ha saputo migliorarsi e reinventarsi negli anni. Il suo gioco, così come la sua tecnica, si sono evoluti nel tempo e, se prima dell’infortunio Tommy poteva essere accusato di una certa monotonia e di giocare un tennis “piatto”, oggi non è affatto così. Ha superato i limiti al servizio, arrivando a spingere un colpo che, fino al 2009, era solo di rimessa e piuttosto difensivo, mentre il rovescio ha allungato la gittata, acquisendo velocità e rotazione, divenendo offensivo e pareggiando il gap con il dritto, anch’esso migliorato notevolmente. Non è difficile vederlo avanzare, anche se lo fa in extrema ratio, ma dimostra di saper giocare anche a rete e di coprire benissimo il campo sui colpi di volo. Tommy oggi fa “frullare” davvero bene la sua amata Dunlop, sempre la stessa durante la carriera, ma che oggi è divenuta al limite del regolamento per lunghezza dell’attrezzo, quasi 72 cm contro i 68.6 delle racchette standard. È un cambiamento tecnico occorso per contrastare le rotazioni dei suoi avversari e per acquisire potenza nei colpi, ma che testimonia, ancora una volta, la capacità di adattamento dello spagnolo. Ma mentre tutto cambia nel suo tennis, Tommy resta sempre il ragazzo semplice che è stato nella sua carriera, soprattutto in campo. Chi lo conosce lo descrive come un ragazzo simpatico che non ama i riflettori, almeno quando non impugna un telaio e che lavora come un forsennato, come se dovesse ancora giocare molti altri anni. Viene da chiedersi quanto giocherà ancora e quanto potrà ancora dare a 32 anni, ma lui sta rispondendo sul campo e di ritiro non ne parla. Noi ci auguriamo che continui a migliorarsi, esattamente come ha fatto negli ultimi anni e che possa trarre ancora beneficio dal suo fisico e dalla sua mente d’acciaio.
Leggi anche:
- None Found