(Tom Gorman)
di Alessandro Mastroluca
Il 1972 è un anno speciale per Stan Smith. Ha trionfato a Wimbledon, 7-5 al quinto in finale su Nastase mancando prima due match point. Nastase lo ritroverà al Romania Club Sportiv Progresul, di Bucharest in finale di Coppa Davis, la prima senza Challenge Round, che l’ITF ha eliminato su pressione di Tiriac, ma perde il primo singolare su Smith. Tiriac rimonta due set a Gorman grazie a innumerevoli chiamate casalinghe, ma il climax arriva durante il match tra il gentleman americano e il “vampiro” che amava masticare pezzetti di vetro, quando un raccattapalle si improvvisa massaggiatore per aiutare Tiriac vittima di un crampo. Alla fine gli Usa vincono comunque la quinta Coppa Davis di fila.
Smith e Gorman si qualificano entrambi per il Masters di fine anno a Barcellona, che per la prima volta si disputa con la formula che conosciamo oggi (nei primi due anni i sei qualificati si affrontavano tutti in un unico girone all’italiana). Smith passa da primo nel girone B davanti a Connors: chiude il primo turno con una spettacolare vittoria su Jan Kodes, che aveva già battuto in finale agli Us Open del 1971, con il 5-3 nella “sudden death”, la prima versione del tiebreak introdotta da poco, al quinto set. A Barcellona, Smith sfiora la perfezione, vince 61 60 in 44 minuti piazzando dieci game di fila dal 2-1 nel primo set. Nastase vince il girone A, chiudendo con il 63 64 a Manolo Orantes, con Gorman, semifinalista a Wimbledon nel 1971 e quell’anno agli Us Open, qualificato come secondo.
Gorman e Smith sono molto più che connazionali e compagni di doppio. Sono grandi amici, e lo sono rimasti anche a carriera finita, e sono stati entrambi testimoni al matrimonio dell’altro. La semifinale è tirata, equilibrata. Dopo due tiebreak, Gorman è avanti 67 67 75 54. Smith serve per restare nel match ma sul 30 pari viene infilato da un perfetto passante incrociato di rovescio. Ma Gorman anziché tornare a fondo campo per rispondere va a stringere la mano dell’arbitro. A un punto dalla finale, si ritira. “La schiena mi sta uccidendo” dice al giudice di sedia, “non ce la faccio ad andare avanti”. Smith prova anche a convincerlo a giocare quell’ultimo punto per la vittoria, ma invano. “Tom sapeva che gli sponsor contavano su una finale fra me e Nastase” commenterà Smith, che perderà la finale, anni dopo in un’intervista al New York Times. “Si era fatto male alla schiena nel quarto set e sapeva che il giorno dopo non sarebbe stato in grado di scendere in campo per la finale. Perciò ha abbandonato la partita. E non so davvero se qualcun altro avrebbe fatto lo stesso al posto suo”.
Un anno dopo, a Boston, sede del Masters 1973, la scena si ripete. In semifinale arrivano Tom Okker, l’Olandese volante, battuto da Ashe nella prima finale dello US Open, che ora ha una galleria d’arte, e John Newcombe. È stato un anno particolare per il baffuto australiano, che per la prima volta ha trionfato nello slam di casa, perdendo solo un set, in finale contro il neozelandese Parun. Sorpreso però dal veterano ceco Holecek al primo turno del Roland Garros, che quell’anno si gioca sulla distanza corta, al meglio dei tre set, vede svanire il sogno slam e la settimana successiva partecipa al boicottaggio a Wimbledon. A Forest Hills, è trionfo totale, è doppietta in singolo e doppio. Ed è questa la finale più interessante perché dall’altra parte della rete ci sono Rod Laver e Ken Rosewall, insieme per la prima volta in uno slam.
Il capitano Neale Fraser li convoca entrambi per la finale di Coppa Davis. L’ITF infatti, dopo il boicottaggio a Wimbledon, ha deciso per la prima volta di ammettere i professionisti. È la prima finale indoor nella storia della manifestazione: si gioca al Public Auditorium di Cleveland. C’è pochissimo pubblico nel weekend. Nessuno in America vuole assistere al trionfo del quartetto soprannominato il “Capitan Fraser Antique Show”, a detta di molti la squadra di Coppa Davis migliore di ogni epoca. Newcombe, Rosewall, Laver e Anderson vincono 5-0: gli Usa non perdevano da cinque anni.
Sulla scia del trionfo di Cleveland, Newcombe arriva a Boston per il Masters di fine stagione. In semifinale, l’australiano conduce 63 57 53 su Okker e gioca uno smash spettacolare per procurarsi un match point. È l’inizio della fine. Nel ricadere, Newcombe resta a terra a massaggiarsi la parte posteriore della coscia destra. “Era come se qualcuno mi avesse accoltellato” dirà. Okker si avvicina all’arbitro John O’Brien. È infuriato, tira un calcio a una sedia e grida: “Per quanto dovrà andare avanti? Vediamo di finirla”. Newcombe prova a rialzarsi, ma ricade pesantemente a terra. Il verdetto è inevitabile. Okker è in finale contro Nastase, il campione del Roland Garros e tre volte campione in carica al Masters, a quel punto sicuro di diventare il primo numero 1 del mondo con il ranking computerizzato.
Non è stato un Masters lineare, e come avrebbe potuto, quello di Nasty, battuto 64 61 all’esordio da Gorman. Nel secondo match Nastase, che proprio in quei giorni celebra il primo anniversario di matrimonio, si gioca tutto contro Jan Kodes. Il pubblico rumoreggia mentre il ceco, che ha vinto Wimbledon in finale su Metreveli e che Nastase chiama “russo” per tutta la partita e non solo, si porta in vantaggio nel terzo. “Non gli piaccio” dice Nastase, che lascia il campo. Due anni dopo sarà squalificato al Masters a Stoccolma, contro Ashe, di cui è amico e che apostrofa Negroni: quel giorno però Ashe non sopporta più e si ritira pochi secondi prima della squalifica di Nastase, e la partita si chiude con un’improbabile doppia sconfitta, poi risolta il giorno dopo assegnando la vittoria a Ashe. Kodes potrebbe approfittare di una vittoria per abbandono, ma si unisce al direttore del torneo Jim Westhall e il giudice di sedia Mike Blanchard nel convincere Nastase a tornare in campo. Alla fine, dopo una lunga pausa, Nasty rientra, vince 64 26 64 e nell’ultima partita supera Newcombe 75 63. Poi assiste alla sfida tra Kodes e Gorman sperando che il ceco vinca in tre set per evitare un arrivo a tre e complessi calcoli sui quozienti set e game. “Andiamo russo, devi aiutarmi, siamo nazioni confinanti” incita dagli spalti in quella che in un articolo su Sports Illustrated diventa “la più grande scena dal balcone dai tempi di Romeo e Giulietta”. Kodes vince, in tre set, Nasty arriva in semifinale e batte Connors 75 63.
La finale inizia con il più inatteso dei coup de theatre. I giudici di linea non si presentano in protesta contro Westphall, che deve scegliere i sostituti fra i 3800 spettatori presenti. È un incubo per Mike Blanchard, che poi sarà nominato referee degli Us Open e si troverà a sostituire il giudice arbitro Frank Hammond in un memorabile secondo turno fra Nasty e McEnroe e a cancellare la squalifica inflitta al romeno per far terminare la partita e la protesta dei tifosi che stanno tirando in campo di tutto e costringono la polizia a intervenire sugli spalti. A un certo punto Nastase si avvicina minaccioso al giudice di linea “della domenica” che gli ha chiamato un doppio fallo: “Era ace, stupido!”. Jack Kramer, direttore esecutivo dell’ATP che commenta la partita per la tv americana, annuncia in diretta che gli costerà 100 dollari di multa. Nastase comunque vince 63 75 46 63 e dichiara che quella multa non la pagherà mai. C’è tutto Nasty, meritatamente numero 1 del mondo a fine anno, in quella settimana a Boston. Il genio ribelle che la mamma ha chiamato Ilie, Elia, il santo che fa scendere il fuoco dal cielo, perché quando è nato il cielo era giallo, come mai prima. Il primo atleta che arriva dalla Cortina di Ferro in grado di avere un impatto globale. “Il pubblico pagava il biglietto” ha sempre detto. “Aveva diritto allo show”.
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