(Stephane Robert – Foto Ray Giubilo)
di Lorenzo Andreoli
Troppo facile passare alle luci della ribalta quando si è giovani, talentuosi e con una voglia infinita di spaccare il mondo. Televisione, radio e giornali non danno un attimo di tregua dalle interviste, i paragoni con i grandi del passato si sprecano e la aspettative iniziano a crescere in modo direttamente proporzionale al prize money. Riuscire a far parlare di sé quando si è già in là con gli anni, invece, è impresa da pochi e quando accade c’è sempre una storia dietro che vale la pena di essere raccontata, come quella del francese Stephane Robert.
Nasce a Montargis, un piccolo comune di circa 15000 abitanti nel cuore della Francia, il 17 maggio del 1980. Inizia a giocare a tennis all’età di otto anni, ma il destino è già in agguato. Intorno ai diciotto, infatti, arriva il primo stop della sua carriera. Ernia del disco è il responso dei medici e a quell’età può bastare per decidere di mettere un punto a tutto, prematuramente. Per gli altri, però, perché nel gennaio del 2002 Stephane decide di provarci di nuovo, ripartendo da un satellite centroamericano. Con la sua filosofia di vita, lavorare senza mai dimenticare di essere “privilegiati”, inizia a raccogliere le prime soddisfazioni e a mostrare, finalmente, il suo tennis. Arrivano i primi successi Futures e Satellite e con essi la posizione numero 400 del ranking ATP.
Nel 2003 decide di approdare nel mondo dei Challenger. Lo fa iscrivendosi al 50000 dollari di Kiev, riuscendovi a partecipare solo dopo aver risolto una buffa questione legata al “visto”. Robert gioca, raggiunge la semifinale e si aggiudica così uno Special Exempt per il torneo di Sofia della settimana successiva, dove arriva la prima vittoria Challenger della sua carriera. L’anno seguente ancora un successo, a Budapest (ai danni dell’azzurro Alessio di Mauro), dove dimostra ancora una volta di trovarsi meglio sulla terra battuta rispetto alle altre superfici. La sua carriera non decolla. La top 200 è lì, Stephane Robert ci entra ed esce senza fare complimenti, senza squilli, senza acuti degni di nota.
A metà del 2006, sempre (e da sempre) agli ordini di coach Lafaix, alcune modifiche di gioco (su tutte il servizio e un maggior anticipo nei colpi da fondo campo) consentono ad un Robert decisamente rivoluzionato di cogliere i primi risultati su superfici diverse dalla terra (soprattutto indoor) e soprattutto di programmare al meglio la nuova stagione. Subito due ITF e delle buone prestazioni nel circuito Challenger sudamericano prima di fare nuovamente i conti con il fato. Questa volta, però, a mettergli i bastoni fra le ruote è un brutto virus, l’epatite A. E’ in questo momento che il francese decide di dare un senso alla propria carriera. E lo fa a modo suo, ancora una volta. Inizia ad immaginarsi su un campo da tennis solo con il sorriso, nelle vittorie e nelle sconfitte. Nessun obbligo, nessun sacrifico che vada oltre i limiti. Il tennis come gioia nella sua massima espressione.
Il recupero dalla malattia è relativamente veloce, la voglia di riaffacciarsi nel circuito meno. Quella può aspettare. Il ritorno, nel 2008, è solo il preludio ad un 2009 da far strabuzzare gli occhi. Già, a 30 anni. Variazioni, discese a rete e cambi di ritmo. A fine anno, le 63 vittorie gli consentono di issarsi dalla posizione numero 368 alla posizione numero 107, ad un passo dal gotha. Dopo gli Open di Australia del 2010 è top 100, per la prima volta.
Una volta finito di pagare il conto alla dea bendata, ormai sempre con un sorriso a trentadue denti, è il momento di prendersi alcune rivincite. Nella carriera di Stephane Robert, allora, bisogna segnare anche la data del 7 febbraio 2010, quella della prima finale ATP, a Johannesburg, persa con lo spagnolo Feliciano Lopez (6-1 7-5), che gli vale la posizione numero 61, best ranking di sempre.
La sua favola, però, non è ancora finita. Dopo quattro stagioni vissute nuovamente fra alti e bassi (memorabile la vittoria al quinto set ai danni di Thomas Berdych, al primo turno del Roland Garros 2011), c’è ancora tempo per incidere il proprio nome nella storia, una volta per tutte. L’occasione si presenta agli Australian Open, due stagioni fa. Sconfitto nell’ultimo turno di qualificazioni dal tedesco Michael Berrer, Robert riesce ad arrivare fino agli ottavi di finale (sconfitto da Andy Murray), divenendo in questo modo il lucky loser ad andare più avanti nella storia del torneo. Ed è di nuovo top 100,di nuovo con la sua leggerezza nel vivere questo sport.
La vittoria nel Challenger indiano di Nuova Delhi della scorsa settimana (torneo nel quale non ha lasciato alcun set ai suoi avversari) è la prova di come, a 36 anni, si possa ancora stupire, divertendo e soprattutto divertendosi.
E finché Stephane Robert continuerà a scegliere i tornei da disputare in base alle città da visitare, sarà compito nostro imparare a guardare tutto con occhi diversi, un po’ meno critici e un po’ più curiosi.
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