(Remo Borgatti in azione sul campo 14… e non è un’esibizione!)
di Remo Borgatti
Più di due settimane “down under” e quando torni a casa, anche se hai viaggiato in compagnia delle inimitabili hostess di Emirates (che guarda caso è anche lo sponsor della tua squadra del cuore…), te ne occorrono altre due per tornare nella tua posizione naturale. Perché Australia non è solo “giù di sotto”, non è solo lontana ventiquattro ore in cielo e dieci di fuso orario, non è solo canguri e koala; è molto, molto di più. Se poi la vivi dentro e fuori la balena che ospita il primo major dell’anno, avrai modo di rimpiangerla per un tempo indefinito. Quella che segue è una sorta di top-ten della mia trasferta, consapevole che per non dimenticare niente e nessuno dovrei trasformarla almeno in una top-50. Ma dieci fotogrammi mi hanno chiesto, per riassumere quell’extra-large di emozioni e sensazioni che sono stati gli Australian Open 2011. E io dieci ve ne darò.
1) Rino Tommasi – E’ inutile sottolineare che privilegio possa essere, in ogni senso, avere il desk a meno di due metri da quello del grande Rino. Ogni mattina (tranne l’ultima, che l’amico Clerici l’ha convinto non si sa come ad uscire a pranzo) puntualissimo sul bus che passava davanti all’Hilton alle 10, Tommasi arrivava in sala stampa e si metteva al lavoro non prima di essersi informato sul risultato del Chievo, quando i gialloverdi hanno giocato. Dopo aver barcollato sul pronostico della vittoria nel torneo femminile, espresso al sottoscritto prima dei quarti di finale (“possono vincere tutte tranne la Li…”), ha deliziato la platea con una delle sue frasi che passeranno alla storia: “Grande annata per il tennis il 1934: Lew Hoad, Ken Rosewall, Maureen Connolly e… Rino Tommasi.”
2) Georgie Stayches – Insieme alle colleghe del front-desk, è stata il nostro angelo custode nella Media Work Room (un altro modo per dire sala stampa). Sempre sorridente, dalle prime ore del mattino fino a notte fonda, ha raggiunto l’apice quando è passata tra le postazioni al termine di una giornata di duro lavoro distribuendo ai presenti barrette al cioccolato e alla caramella mou di cui non vi dirò il nome perché tanto l’avrete già indovinato.
3) Le spaccate dei vincitori – Accomunati dal modo di intendere il gioco del tennis, basato sull’estrema solidità nei colpi da fondo campo accompagnata da una condizione fisica eccellente, i vincitori dell’edizione 2011 degli Australian Open hanno scoperto (e fatto scoprire, loro malgrado, agli avversari) un altro tratto in comune: la spaccata. Posso garantirvi, dopo averlo provato di persona, che il fondo dei campi di Melbourne Park è quanto di più simile alla carta vetrata ci possa essere (per estremizzare il concetto) e anche solo scivolare sembrerebbe impossibile. Invece i due si sono prodotti più volte in recuperi difensivi estremi per elasticità muscolare sia di dritto che di rovescio, strappando prolungati “ooooohh” di ammirazione nel pubblico.
4) Chris Brown – E’ il CEO (Chief Executive Officer) del Kooyong Tennis Club che ci ha fatto (a me e altri due colleghi) da cicerone per la nostra visita nel luogo che ha ospitato gli Open in numerose occasioni fino al 1988, quando si sono trasferiti a Flinders Park. Prima un the verde comodamente seduti nella “Goolagong Terrace”, qualche metro sopra la distesa di campi in erba su cui si esibivano in assoluto relax alcuni degli oltre 7 mila soci; poi, un ideale viaggio nel passato di questo sport, tra le antiche vestigia protette nelle teche del museo e le decadenti scalinate a ferro di cavallo del centrale, che stridono con la vernice di due tonalità di azzurro spalmata sul fondo duro ora destinato a ospitare l’esibizione pre-Slam targata AAmi Classic. Insomma, quattro passi nella storia.
5) Il colpo del torneo – Ce ne sono stati tanti. Dal passante sotto le gambe dello spagnolo Garcia Lopez contro Murray a quello che è valso a Djokovic il break nel quarto gioco del terzo set in finale, sempre contro lo scozzese. Ma non ci sono dubbi: il colpo del torneo è quello che si è visto il martedì della prima settimana sul campo 6, nel match di primo turno tra Kimiko Date-Krumm e Agnieszka Radwanska. Sulla situazione di un set per parte, 6-5 Radwanska e 40 pari servizio Date, la battuta della giapponese decapita letteralmente la Babolat della polacca che rimane con il solo manico tra le mani. Se ancora non l’avete vista, qui http://www.youtube.com/watch?v=IjYb_xZEiuY c’è l’espressione sgomenta di Agnieszka.
6) Lo spuntino delle 17 – Oltre alla diaria giornaliera di 16 dollari australiani che ognuno di noi aveva accreditato sul pass, alle cinque del pomeriggio per giornalisti e fotografi era previsto un generoso buffet a base di sandwich, salatini vari, birra e vino. Così, anche se il tennis veniva sempre per primo, quando era possibile si cercava sempre di conciliare la visione delle partite con le esigenze dello stomaco.
7) I pantaloni di Bud Collins – La penna infilata nel cappellino di Gianni Clerici e i pantaloni a strisce nelle diverse tonalità di verde di Bud Collins rappresentano i tratti distintivi che solo gli immortali possono permettersi di indossare con assoluta naturalezza. Straordinario lo statunitense, quando si è avvicinato a Francesca Schiavone in conferenza stampa per dirle “Brava!” in italiano; un po’ meno (scherzo, ovviamente) lo scriba, quando ha citato su “la Repubblica” il mio compagno di viaggio Daniele Malafarina, attribuendogli la paternità della definizione “Santorescu” che invece è il risultato della mente peraltro non del tutto sana del sottoscritto, nel tentativo di definire lo stile di gioco della rumena Niculescu sotto il sole di mezzogiorno.
8) Espressioni da Australia Day – Il 26 gennaio è una data che Rafael Nadal, suo malgrado, non dimenticherà tanto in fretta. Il sogno suo e dei suoi tifosi di completare il Simil-Grande Slam si è interrotto proprio nel giorno in cui l’Australia celebra la festa nazionale. Nella ricorrenza del primo insediamento inglese in questa lontana parte di mondo, con lo sbarco della First Fleet del capitano Phillip nella baia di Sydney che avvenne appunto in questo giorno del 1788, il numero uno del mondo è stato sconfitto nei quarti di finale dal connazionale David Ferrer in tre set condizionati dall’infortunio in cui è incappato Rafa. E’ curioso che anche l’anno precedente, sempre nello stesso giorno ma contro Murray, lo spagnolo si fosse infortunato, tanto da essere costretto al ritiro all’inizio del terzo set. L’espressione del suo volto ritratto durante un cambio di campo, con la tristezza negli occhi fissi nel vuoto, tipica di chi sa di aver perso un treno che forse non passerà mai più, campeggiava sulle prime pagine dell’Herald Sun e di “The Age” del giorno dopo. Magnifica anche la scenetta stile “Scherzi a parte” andata in onda sempre sul centrale, qualche minuto prima e dopo mezzogiorno dell’Australia Day, protagonista una giocatrice che è tutto un programma: Vera Zvonareva. In totale controllo della partita di quarti di finale contro Petra Kvitova (6-2 e 3-0), la russa, che non è proprio un esempio vivente di self-control, si è vista distrarre prima dallo svenimento di una spettatrice e poi dalle 21 cannonate cadenzate che giungevano dalla città e rimbombavano dentro la Rod Laver Arena. E Vera a guardare sbigottita Mariana Alves, la giudice di sedia, che ha allargato le braccia come per dire: “Non posso farci nulla; è la festa degli australiani, io sono portoghese…”.
9) Estate – Se per caso qualcuno dovesse dirvi: “Australia? Che c..o! Chissà che caldo?” siete autorizzati a prenderlo a male parole. Non so quante fredde notti di gennaio della mia vita ho trascorso sul divano, rapito dalle immagini diffuse dalla tv che trasmetteva gli Australian Open di tennis, il torneo che più di ogni altro avrei voluto vedere anche solo per un giorno. Ve lo ricordate il berretto modello legione straniera di Ivan Lendl? E le uova cotte direttamente sui 50 e passa gradi del Rebound Ace, così appiccicoso a causa del caldo che finire un match senza una distorsione alla caviglia era quasi un’impresa? Non era vero niente. Quello che vedevate era tutta una finzione scenica, tipo “Truman Show” tanto per intenderci. In realtà a Melbourne soffia spesso un vento rinfrescato dalle correnti del Polo Sud e, quando il sole si copre o sei seduto nella tribuna stampa della Rod Laver Arena (ribattezzata chissà perché “la ghiacciaia”), non è inusuale imbattersi in qualche famiglia di simpatici pinguini, fuggiti dall’Aquarium che si trova sulla sponda del fiume Yarra e nel quale di solito vivono in celle a -20°, alla disperata ricerca di un po’ di refrigerio…
10) Elenco conclusivo delle cose per cui valeva la pena esserci: Mats Wilander che mangia un sandwich nel bar dei giornalisti e cerca di spiegare ad Annabel Croft il motivo per cui Murray le sta incredibilmente prendendo da Ferrer; i “ballkids” di giallo vestiti che si spostano come sciami di api da un campo all’altro; Ubaldo Scanagatta che gioca con la racchetta di Fred Stolle (non vi dirò il risultato, però); trecento minuti (quattro ore e quarantaquattro più il prima e il dopo) a saltare sulla sedia della Hi-Sense Arena mentre Schiavone e Kuznetsova si e ci regalano una partita storica; il canguro gonfiabile di Caroline Wozniacki; l’impeccabile e iper-professionale servizio di transportation; le ragazze in bikini sulla spiaggia di St.Kilda (solo quelle, sia chiaro, perché il mare…); il russare del marito di Na Li; Nole Djokovic che impiega quasi mezzora per fare il check-in al Tullamarine, tra un autografo e una foto; una banana al Queen Victoria Market; l’ultima partita (forse) di Justine Henin; Ana Ivanovic dal vivo; le stelle in cielo (che sono diverse dalle nostre) e le smorzate di Romina Oprandi.
Leggi anche:
- None Found