Raonic e Tsonga: la risalita che parte dai piccoli tornei

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di Andrea Martina

Nella scorsa settimana, il circuito ATP ci ha regalato un curioso incrocio: nei tornei 250 di Metz e San Pietroburgo, chiusi nella cerniera Davis-tournée asiatica, hanno trionfato rispettivamente Jo-Wilfried Tsonga e Milos Raonic. Per entrambi è stato il primo successo del 2015, un anno che sicuramente vorranno mettersi alle spalle quanto prima, anche se gli ultimi tornei presenti in calendario potrebbero rappresentare un vero e proprio rilancio.

Milos Raonic ha pagato sicuramente l’operazione al piede che lo ha costretto a saltare il Master di Roma e il Roland Garros. Fino a quel momento era stato praticamente perfetto e la crescita avuta grazie al lavoro di Ljubicic e Piatti si vedeva sul campo. Dopo un finale 2014 con il botto, finale a Parigi-Bercy e qualificazione alla Masters Cup, il canadese aveva iniziato l’anno con lo stesso slancio: finale a Brisbane, quarti agli Australian Open e semifinale ad Indian Wells. Gli unici avversari con cui aveva perso erano stati Federer e Djokovic. A maggio aveva raggiunto la sua vetta più alta al numero 4 e poi è arrivato un infortunio al piede, apparentemente banale, che lo ha tenuto lontano dai campi per circa un mese, facendogli saltare il torneo del Foro Italico e il Roland Garros. Ma il ritorno è stato più complicato del previsto: al di là della condizione atletica, abbiamo assistito ad un Raonic insicuro come ai suoi esordi nel circuito maggiore, quasi avesse perso quella fiducia necessaria che lo ha portato ad essere straordinariamente continuo su tutte le superfici.
L’ultima delusione è arrivata nel terzo turno dello US Open dove è stato eliminato dall’ottimo Feliciano Lopez, una sconfitta che sommata al terzo turno di Wimbledon offre un quadro preoccupante per uno con le sue potenzialità. Questo insieme di risultati ha proiettato Raonic in uno dei momenti più difficili della sua carriera, simile all’estate 2011, quando un infortunio all’anca frenò la sua prima scalata al ranking.

Per Tsonga, invece, i problemi hanno un ordine cronologico opposto. Dopo la finale persa in Davis con la Svizzera è stato costretto ai box per un infortunio all’avambraccio che lo ha praticamente bloccato per tutto l’inizio di stagione: niente Australian Open, niente Davis e rientro fissato a fine marzo. Un handicap che lo ha portato ad uno scivolone mai visto intorno al mese di agosto dove addirittura è uscito dai primi 20 del mondo (negli ultimi otto anni è stato abbondantemente nella top 15). Nonostante questo, il francese ha dimostrato ancora una volta la sua attitudine a giocare dei grandi tornei a livello Slam: a Parigi è riuscito a battere Berdych e Nishikori raggiungendo così la sua seconda semifinale in carriera al Roland Garros (battuto da un Wawrinka versione Action-Man), mentre agli US Open è riuscito a raggiungere i quarti e a sfiorare l’impresa contro Cilic (6/4 al quinto). Ciò non toglie che l’aver giocato poco durante la stagione ne abbia influenzato inevitabilmente il ranking, un problema non da sottovalutare per il suo tennis discontinuo ed esuberante.

Con questa cartella clinica arriviamo, quindi, a quello che è successo sui campi di Metz e San Pietroburgo. Per Tsonga è stato il dodicesimo torneo vinto in carriera (il terzo a Metz) in una finale tutta transalpina con Gilles Simon. La notizia non è tanto nella vittoria, ma nell’evoluzione che sta avendo Tsonga in campo: la sua pecca è sempre stata quella di “uscire” mentalmente dal match in alcuni momenti e cercare di recuperare con la sua potenza, ma da qualche mese si nota una gestione della partita che raramente avevamo visto prima. Qualcuno penserà che arrivati ai 30 anni dovrebbe essere il minimo per un campione di questo livello, ma sappiamo anche come la natura di Tsonga sia tutt’altro che lineare. Nei primi due match contro Zverev e Mahut poteva perdere in qualsiasi momento e invece, pur giocando male, ha avuto la lucidità di portare a casa i punti fondamentali con alcune novità: seconda di servizio molto più aggressiva e lavorata e un insolito rovescio ad una mano che ormai utilizza sempre di più nei recuperi.
Raonic è riuscito finalmente a trovare una buona settimana e a raggiungere una finale che mancava da gennaio. Ad onor di cronaca occorre specificare che gli avversari affrontati non erano dei fenomeni: Donskoy, Robredo, Bautista Agut e Sousa. Ma queste vittorie sono state come ossigeno e proprio per questo la scelta di andare a San Pietroburgo (torneo snobbato dai migliori a causa dell’infelice collocazione in calendario) per ritrovare fiducia e ritmo ha funzionato. Un attimo di insicurezza nella finale con Sousa c’è stato, l’allievo di Ljubicic è stato costretto al terzo set e forse anche questo piccolo passaggio a vuoto è stato utile a livello caratteriale. La differenza del suo tennis con quello degli altri era evidente, ma finalmente si è rivista un po’ di sicurezza nel suo gioco.

Queste vittorie, che hanno probabilmente rilanciato Tsonga e Raonic, non cancellano un serio rischio, ovvero quello di vederli assenti dalla Masters Cup di fine anno. Ad oggi i primi quattro del mondo sono già qualificati e gli ultimi quattro posti vedono Berdych, Nishikori e Nadal con mezzo piede a Londra e Ferrer (3005 punti) a rischio. Nella classifica Race (risultati conseguiti da gennaio 2015 ad oggi) al numero 9 troviamo Gasquet con 2355 punti, comunque lontano dalla qualificazione. Ma veniamo per gradi: l’ipotesi del ritiro di Murray in chiave Davis (notizia che ha generato un caso diplomatico) potrebbe rimescolare la situazione e far rientrare tanti candidati, senza tralasciare che storicamente il finale di stagione è teatro di tanti infortuni che permettono l’ingresso del numero 9 come nel 2013 e 2014. Inoltre dalla prossima settimana fino a Parigi Bercy ci sono ancora 3500 punti a disposizione.
Raonic è al dodicesimo posto con 2080 e Tsonga è quindicesimo a 1900 (ma con solo 14 tornei giocati su 18 a disposizione). La programmazione scelta dai due è simile: Atp 500 di Pechino, Master 1000 a Shanghai, Atp 500 di Vienna e Master 1000 a Parigi-Bercy, in più Raonic giocherà anche l’Atp 500 di Basilea: tante occasioni per scalare posizioni e cogliere vittorie importanti, soprattutto in virtù degli ottimi risultati fatti in passato in questi tornei.

Raonic, forse, ha più carte in regola per tentare la qualificazione: oltre ai 200 punti in più rispetto al francese, si è già fatto notare nei tornei asiatici e dal 2012 riesce sempre ad arrivare in finale (e perdere) a Tokyo, motivo in più per cambiare aria e provarci nel torneo gemello di Pechino. Inoltre la decisione di Tsonga di non giocare nella settimana precedente a Parigi-Bercy può lasciar pensare che il Master francese sia il suo vero obiettivo di questo finale di stagione, d’altronde è un torneo che gioca in casa già vinto nel 2008 (finale anche nel 2011) e che potrebbe spingerlo prepotentemente nella top 10.

Già in passato abbiamo visto delle annate anonime trasformarsi in trionfi grazie a questi due mesi. Per maggiori informazioni chiedere a Simon, Davydenko, Nalbandian e allo stesso Tsonga.
La rincorsa si sposta nel continente asiatico dove, ovviamente, non si escludono scontri diretti.

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