di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)
Ancora tu, non mi sorprende lo sai. Chi in fondo non sperava di rivedere Rajeev Ram trionfare in un torneo Atp? Gli amanti del tennis old school ed i nostalgici dell’arte del serve and volley sicuramente. Il tennista statunitense di origini indiane, a distanza di 6 anni dal primo successo sui campi di Newport, si è aggiudicato il secondo titolo Atp della carriera battendo in finale Ivo Karlovic per 7-6(5) 5-7 7-6(2), ancora sull’erba americana, ancora a Rhode Island. E dove se non nell’International Tennis Hall of Fame, vero e proprio sacrario agli ideali di gioco, così come definì l’istituzione James Van Alen al momento della sua fondazione nel lontano 1954.
Nato a Denver da padre di Bangalore e madre proveniente da un piccolo villaggio al di fuori di Delhi, inizia ad impugnare la prima racchetta all’età di 4 anni, abitando di fatto nella città del Colorado solo per un mese. Trasferitosi nel Wisconsin, tutta la settimana per almeno un’ora e mezza al giorno, si allena col padre senza di fatto prendere mai una lezione privata sino ai 12 anni. La sua più grande felicità risiede anche solo nel colpire la palla, sentire il rumore della stessa che esce dal piatto corde e nel vedere la mamma entusiasta dei suoi progressi. Poi le prime lezioni al Carmel Racquet Club in Indiana, soprattutto di gruppo, un’esperienza che formerà e non poco il fresco vincitore del torneo americano. Fino ai 16 anni il suo coach, almeno formalmente, continuerà ad essere suo papà Raghav. Al liceo prende buoni voti ma il tennis lo costringe a saltare tanti giorni di scuola. Rajeev però ama studiare ed allora con grande spirito di sacrificio riesce a coniugare lo studio con quello sport che tanto lo rendeva contento. Terminati gli studi nell’istituto superiore dell’Indiana, “Rampras” decide di intraprendere la strada del professionismo salvo poi fare marcia indietro e iscriversi all’Università in Illinois, dove si è potuto allenare sotto la guida di Craig Titley.
“Nel 2003 frequentavo il college e nel giro di un anno ero già diventato professionista. Mi sono reso conto solo dopo che c’erano un sacco di spese da affrontare. Non tanto l’alloggio, i viaggi o il cibo, quanto il supporto personale di un allenatore e di un fisioterapista“. Vincitore di diversi titoli giovanili nazionali sia in singolare che soprattutto in doppio, nel 2002 aveva raggiunto la finale di Wimbledon juniores in coppia con Brian Baker. Quella vittoria fu un presagio di quella che sarebbe potuta essere la sua carriera da doppista. Quarti di finale in almeno tutte le prove degli Slam, semifinale nel 2014 agli Us Open in coppia con Scott Lipsky, otto vittorie nel circuito Atp e best ranking di numero 30 ottenuto pochi giorni fa. Nato e cresciuto col mito di Boris Becker e Pete Sampras, per caratteristiche tecniche incarna esattamente il classico doppista che tutti vorrebbero ammirare sugli spalti dal vivo o seduti comodi in poltrona davanti al televisore.
Persona amichevole e cordiale, il suo tennis incanta per semplicità, tocco e sensibilità a rete. “Andre Agassi è l’esempio perfetto di come io viva il tennis. E’ sempre stato molto coerente. Quando c’era qualcosa che non andava nella sua vita personale poi lo faceva trasparire anche in campo“. Un po’ umorale, così come imprevedibile con il suo stile vintage e con quei tagli che fanno impazzire molti suoi colleghi sui prati e non solo. All’età di 31 anni e con questo incredibile successo, Rajeev Ram ha scalato ben 75 gradini del ranking Atp, assestandosi alla posizione numero 86, a soli 8 posti da quel best ranking raggiunto nel 2009. Un torneo incredibile, in cui ha accumulato record su record. Primo giocatore nella storia della Tennis Hall of Fame a battere il numero uno (Isner) e due (Karlovic) del seeding. Un bilancio di 6 tie break vinti su 7 giocati (perso giusto il primo set nel primo turno contro John Isner) e match point annullati sia contro Isner che contro Mannarino. Ad oggi è di fatto imbattuto in un main draw di un torneo Atp. Testa ma soprattutto cuore, di chi sa di essere agli sgoccioli della propria carriera. Un sogno, niente di più. La voglia di potersi migliorare ancora, anche quando chiunque ti dà per finito. La stessa volontà che aveva Prakash Amritraj qualche anno fa di portarlo in Davis, perché in fondo nelle vene di Ram scorre sangue indiano e la sua predilezione per i campi in erba ne sono una ulteriore conferma. Ma un cavillo del regolamento non lo permetteva, purtroppo.
Quando si ritirerà dal circuito ha già in mente cosa farà: aiutare i bambini a raggiungere il loro potenziale. Un gioco bello da vedere, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Rampras”, basato sul servizio ed un gioco prettamente offensivo. Uno stile come detto old, che contrasta quelli che sono i canoni odierni: Ram non è potente né forte atleticamente né bravo in fase difensiva. Rajeev Ram è un giocatore d’altri tempi, un amante del gioco d’attacco e dell’arte del serve and volley, uno di quei tennisti che ti fa rimpiangere quell’epoca in cui l’erba veniva consumata anche nei pressi della rete. Ed è per questo che quando scende in campo l’americano, mi piace pensare di entrare in un’ideale macchina del tempo e tornare indietro nei primi anni novanta.
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