di Sergio Pastena
Gli inglesi li chiamano “comebacks”, ovvero ritorni.
Possono essere riferiti a una partita, quando un atleta pesantemente sotto nel punteggio rientra e vince. Il più straordinario, in questo senso, fu opera di Stefan Koubek che, agli Australian Open del 2002, rimontò Cyril Saulnier da 0-6 1-6 1-4 15-40 sotto. Più frequentemente, però, per comeback si intende il ritorno di un giocatore che, per un motivo o un altro, era scomparso: spesso a causa di infortuni, a volte perché si era ritirato, in alcune occasioni per una semplice crisi di gioco che sembrava averlo avviato verso il pensionamento.
Il caso di Nadal, parliamoci chiaro, non rispecchia nessuna delle ipotesi citate: il maiorchino si è infortunato ma è rientrato da numero 5 al mondo ed è stato fuori sei mesi, capita a tanti. Eppure… nel suo caso si può parlare di ritorno perché, parliamoci chiaro, solo un tennista così straordinario può permettersi di essere numero 5 al mondo con i soli punti conquistati sulla terra.
Attendendo i risultati di Rafa, che qualche difficoltà la sta patendo, ripercorriamo qualche “ritorno” avvenuto nel nuovo millennio, passando dai successi agli insuccessi.
Ritorni dalla crisi: le sette meraviglie di Goran
Quando Goran Ivanisevic, tennista croato con un passato di numero 2 al mondo, si presentò in campo nella stagione 2001, nessuno credeva in lui.
Certo, era stato un grande, ma parliamo pur sempre di uno che non raggiungeva i Top Ten dalla fine del 1997 e che aveva vissuto quello che sembrava essere il suo canto del cigno a Wimbledon nel 1998, quando perse in finale da Sampras al quinto set.
Nella seconda parte del 2000 Ivanisevic aveva vinto una sola partita escludendo la Davis, a Brisbane contro l’allora 35enne Gianluca Pozzi. La prima metà del 2001 portò qualche risultato, ma mediocre: tanto per dire, sulla strada per Wimbledon prima Goran perse al Queen’s da un Caratti quasi fuori dai 200, poi passò un turno a ‘s-Hertogenbosch sputando l’anima contro Max Mirnyi. Posizione in classifica: numero 125.
Difficile capire quale oscura alchimia sia scattata in quei giorni: se la vittoria contro Jonsson al primo turno poteva starci, pochi credevano che il croato potesse andare ancora avanti. E invece via: Moya, Roddick, Rusedski, Safin, Henman, Rafter. Un tabellone, si badi bene, durissimo: quattro dei giocatori citati sono stati numeri uno al mondo, i due britannici sono arrivati in quarta posizione.
E invece Ivan il terribile superò tutti, fino ad arrivare all’epica vittoria al quinto set contro Pat Rafter. Una delle più grandi sorprese che il tennis moderno ricordi.
Ritorni dal ritiro: la sfida con sé stesso di Muster
“Muster in campo? Ma parli del circuito senior?”.
Sì, la reazione non poteva essere diversa quando Thomas Muster, ex numero uno al mondo, si presentò in campo al Challenger di Braunschweig nel 2010 alla veneranda età di 43 anni. Una sfida con sé stesso, una sfida contro il tempo. Obiettivo: divertirsi e vedere come se la cavava coi ragazzi di oggi.
Muster scelse i Challenger e poteva permettersi il lusso di scegliere. Parliamo chiaro: chi gli avrebbe negato una wild card?
L’inizio non fu neanche sconfortante: sconfitta netta con Niland, match tirato contro Brown, primo set vinto con Sektic, primi punti contro lo sconosciuto sloveno Puc. Progressi, insomma. Poi il nulla cosmico: diciassette, dicasi diciassette, sconfitte di fila.
Infine l’inaspettato: nel settembre del 2011 Muster si presenta a Todi e il sorteggio del primo turno non è proprio di quelli confortevoli. Ad opporsi a lui Leonardo Mayer, argentino poco distante dai Top 100. Ebbene, Muster ottiene una vittoria impensabile per 4-6 7-5 6-2 facendo gridare al miracolo gli appassionati, che a quel punto vogliono proprio vedere cosa riuscirà a combinare contro il connazionale Martin Fischer al secondo turno.
L’inizio della partita è a dir poco sconfortante: Fischer lo domina in tutto e per tutto, i punti di Muster si contano sulle dita di una mano e il set vola via con un bagel-lampo. Ma attenzione alle vecchie volpi… nel secondo il campione austriaco comincia a picchiare di diritto come un ossesso rifilando un 6-2 all’incredulo avversario e, nel terzo, arriva a servire per il match.
Lì finisce il suo ritorno, con un servizio perso e un tie-break finito 7-2 per l’avversario. Giocherà altre tre partite tra cui una, particolarmente simbolica, con la principale promessa del tennis austriaco Dominic Thiem.
Però è stato bello provarci…
Ritorni dagli infortuni: Tommy e Martin, strade diverse
Per capire come mai ogni aggettivo usato per Tommy Haas non sia mai sprecato bisogna considerare che un comeback oltre i 30 anni desta normalmente stupore. Beh, lui ne ha avuti due.
Ex numero due al mondo, tennista tra i più eleganti del circuito, Haas ebbe già uno stop per infortunio nel 2008 e tornò nel 2009 stupendo il mondo, facendo semifinale a Wimbledon e riprendendosi la Top 20. Poi, dopo il torneo di Delray Beach nel 2010, la spalla destra dice di no: ancora un intervento, tempi di recupero lunghissimi, il tutto per un atleta di, udite udite, 33 anni all’epoca del ritorno, avvenuto al Roland Garros del 2011.
All’inizio faticava a vincere e veniva ritenuto patetico. Beh, questo signorino nel 2012 è tornato a vincere un torneo ad Halle, battendo Federer in finale, e grazie alla semifinale di San Josè si è assicurato, nel caso in cui tutto andasse male, il numero 19 al mondo. E allora non ci sono parole sprecate.
Diversa la storia di Verkerk, diverso anche il fisico: quando sei alto due metri è difficile recuperare e l’olandese, finalista al Roland Garros del 2003, quando nel 2006 pensò che i suoi 28 anni non fossero poi troppi e provò a tornare nel circuito.
Quattordici sconfitte consecutive, neanche un set portato a casa nei tornei maggiori, prima di cominciare a vincere qualche partita, ma solo a livello Futures e, addirittura, un torneo Challenger ad Atene.
Prima di ricadere nell’oblio, definitivamente, pur essendo più giovane di Haas.
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