di Sergio Pastena
Ci sono due tipi di perdenti: quelli che a un certo punto rompono le catene e quelli che non le rompono mai.
Un esempio classico della prima categoria é Janko Tipsarevic: braccio di pregio e personalitá fuori dal commune, il serbo per anni ed anni é stato fuori dall’elite del tennis a suon di occasioni mancate. Ha perso la prima finale della carriera nel 2009 a Mosca, l’anno dopo ha fatto il bis a ‘s-Hertogenbosch e, nel 2011, ha cominciato con una bella doppietta tra Delray Beach ed Eastbourne, dove venne sconfitto da Seppi per ritiro al terzo set al termine di una finale da psicanalisi. Poi Janko ruppe le catene, vincendo Mosca e Kuala Lumpur, ed é arrivato dritto dritto nei Top 10.
Altro esempio: Stanislas Wawrinka: lo svizzero ha perso 6 delle prime 7 finali della carriera e l’unica vinta, ad Umago nel 2006, fu per ritiro dell’avversario, un giovanissimo Novak Djokovic. Tutto ció nonostante Stan, grazie alla finale del 2008 a Roma, nei primi dieci ci fosse giá stato. Le catene lui le ha rotte nel 2010: non é diventato invincibile ma i titoli in bacheca ora sono quattro e con la finale di Madrid di quest’anno é tornato nei primi 10.
In Italia potremmo citare Andreas Seppi, anche lui protagonista di tante occasioni perse (memorabile la finale di Gstaad contro Mathieu nel 2007) e vincitore di una finale per ritiro dell’avversario. L’altoatesino alla fine é sbocciato, ha rafforzato il proprio carattere ed ha centrato i Top 20.
Chi non ce la fa
Altri perdenti, invece, restano tali in eterno.
Julien Benneteau, ad esempio, dal 2008 centra almeno una finale all’anno: in totale sono otto, tutta rigorosamente perse contro avversari rispettabili ma non sempre incontenibili. Il francese, bestia nera di Federer, a Sydney é riuscito persino nell’impresa di perdere da Jarkko Nieminen.
Giá, il finlandese é un altro specialista: di finali ne ha perse ben undici e l’unica vittoria seria (quella con Benneteau non conta) é arrivata nel 2006 ad Auckland contro Ancic. Una parentesi inspiegabile in una carriera all’insegna del “Potrei ma non ci riesco”.
Casi patologici, disperati, incurabili.
E chi…
Per questo non mi sarei mai e poi mai aspettato la vittoria di Nicolas Mahut nel torneo di ‘s-Hertogenbosch.
Il problema non é tanto nel fatto che il francese fosse arrivato in Olanda da numero 240 al mondo: la mano lui ce l’ha, il talento non manca e la posizione in classifica, anche a causa di un infortunio, non rispecchia il suo reale valore.
La questione, piú che altro, é che la finale contro un Wawrinka in ottima annata pareva destinata a terminare con una sconfitta per un’antica maledizione divina. Giá, perché Mahut fino a ieri incarnava meglio di chiunque altro la figura del perdente, anche meglio di Benneteau e Nieminen.
La prima sconfitta, cocente, arrivó nella finale del 2007 al Queen’s, conquistata dopo aver battuto Nadal, quando il francesino fece soffrire tantissimo Andy Roddick, arrivó al match point e poi si sciolse come neve al sole. Sempre sull’erba, a Newport, il bis, stavolta in finale contro Santoro che regalava gli ultimi distillati della sua immense classe al mondo. Poi pausa. Mahut sparisce, barcolla tra Atp e Challenger e lo ritroviamo a Wimbledon nel 2010, impegnato al primo turno contro John Isner.
All’inizio sembrava la classica partita “alla Isner”, di quelle che spesso capitano quando al quinto set ci arriva uno come Long John, fortissimo col servizio e debole con la risposta. Poi il match sconfinó nell’epica: tre giorni di battaglia, un massacro finite 70-68. E il 68, ovviamente, era lui, povero Nicolas. Neanche quindici giorni fa altra mazzata: finale di doppio al Roland Garros, sulla tanto odiata terra, con lui e Llodra che impegnano i Bryans, ci vanno vicino ma non riescono a batterli. E Nicolas che piange sulla spalla di Michael, che lo consola ma non puó capire. Giá, perché lui se non altro tre Slam in doppio li ha vinti e ha vinto anche cinque tornei in singolare: il sapore lo conosce.
Poi, di colpo, Mahut si inventa vincente in un giorno che non c’entra niente: la superficie é la sua adorata erba, certo, ma a 31 anni le catene dovrebbero essere pesanti per chiunque. Troppo pesanti. E invece Nicolas le ha rotte, prendendosi quel titolo che, ad uno con la sua tecnica, in fondo spettava di diritto in un tennis che non ha negato la vittoria neanche ai Santiago Ventura e ai Dimitri Poliakov.
Goditela, Nicolino: te la meriti tutta.
Leggi anche:
- None Found