di Fabio Ferro
Giancarlo Petrazzuolo è il coach di Simone Bolelli, è stato un tennista di livello medio-alto fino al 2009, anno in cui, a 29 anni, ha scelto di diventare allenatore e dedicarsi a una nuova avventura. Nonostante gli impegni, continua a supervisionare alcuni giovani di interesse per il tennis italiano, come Riccardo Perin. Lo abbiamo intervistato durante una delle sue pause dal circuito, poco dopo il torneo di Basilea.
Sei il coach di Simone Bolelli, è l’unico, si fa per dire, impegno che hai o ti dedichi anche ad altri progetti?
Diciamo che è l’unico impegno full time, ma nel tempo libero, nelle poche settimane dell’anno che non ho impegni con Simone, continuo a seguire il programma di crescita di Riccardo Perin. Continuo a seguirlo anche ora che si è traferito a Bari al centro tecnico federale. Inoltre, seguo ancora i progressi dei ragazzi che ho allenato fino a luglio a Torre del Greco.
Perché Simone Bolelli? E’ un caso o hai un rapporto che nasce da lontano?
Perché Simone? Di solito nel tennis sono i giocatori che scelgono l’allenatore, perciò bisognerebbe chiedere a Simone “Perché Petra?”. Ho iniziato più di un anno fa grazie a Umberto Rianna, che mi ha chiesto di affiancarlo per quanto riguarda la gestione di Simone durante la stagione 2013. Il rapporto è continuato anche dopo e, dal luglio di quest’anno, sono passato a seguirlo full time, con il consenso sia di Simone che di Umberto e di Eduardo Infantino. Simone ha sempre avuto molta fiducia nei due tecnici e, quando gli hanno consigliato di lavorare con me, ha accettato subito.
Da giocatore hai avuto un rendimento abbastanza costante, quali sono state le principali motivazioni?
La motivazione principale era quella del piacere di giocare a tennis. Lavoravo facendo ciò che mi divertiva di più. Per migliorarmi e trovare stimoli avevo quasi una sorta di scommessa con me stesso e pian piano mi ponevo obiettivi più consistenti. Ecco, la motivazione era raggiungere l’obiettivo!
Nel circuito professionistico ormai è difficile trovare tennisti che si ritirino prima dei 30 anni, come hai fatto tu. Pensi di aver preso la giusta decisione? E cosa ti ha spinto a farlo?
Ho smesso nell’ottobre del 2009, quando avevo 29 anni. Rimpianti non ne ho, anche perché non fa parte del mio carattere averli, ma sono contento di quello che ho fatto in carriera, come tennista e come sportivo. Inoltre, non esiste la scelta giusta o quella sbagliata, sono i tempi che dettano le scelte e io in quel momento non avevo forti motivazioni nel continuare a giocare. Ma allo stesso tempo sentivo che il nuovo obiettivo era diventato quello di allenare. È cambiato l’obiettivo, ma la voglia di migliorarsi è rimasta la stessa.
Cosa ti manca del tennis giocato ad alto livello? Cosa non ti manca?
Il fatto è che, in verità, non ho mai avuto un periodo di riposo dal tennis, perché immediatamente dopo aver smesso ho subito cominciato a girare insieme a Potito Starace e poi con Bolelli. Il circuito lo vivo sempre e devo dire che, da allenatore, stando costantemente nel circuito ATP e Challenger, vivo un tennis di livello nettamente più alto, perchè la mia attività da giocatore era principalmente nel circuito Futures e Challenger, difficilmente giocavo in ATP.
Rigiocheresti qualche partita nello specifico o non hai alcun rimpianto rispetto alla tua carriera?
Nessuna partita in particolare, perché non ho mai perso una finale di Wimbledon (se la ride).
La vita del coach, più o meno stressante di quella del giocatore?
Dipende dalle condizioni nelle quali puoi esprimerti. Nel mio caso, ritengo che sia meno stressante, innanzitutto perché mi confronto con un tennista professionista maturo. Il nostro team è piccolo e piuttosto compatto, composto da coach, giocatore, preparatore atletico e manager, senza le tensioni che possono derivare da altri elementi esterni o dalla presenza dei genitori a bordo campo. Inoltre, la vita da coach la affronti con una maturità e un’esperienza totalmente diverse rispetto a quella da giocatore. Io mi sento fortunato per il mio ambiente di lavoro, ma penso che altri coach o altri maestri probabilmente hanno ben altre pressioni, con carichi di stress nettamente più alti.
Come coach, che qualità pensi di avere e quali sono i punti di forza del tuo modo di allenare?
Questa è una domanda che penso vada rivolta al mio assistito o a un mio collega. Sono davvero ipercritico con me stesso e non mi viene bene parlare di me. Però, una cosa la posso dire con certezza, ho passione e questo mi aiuta a dare qualità alle cose che faccio.
Tu sei un allenatore piuttosto giovane, pensi sia un vantaggio nei confronti di chi assisti?
È, senza dubbio, un vantaggio sotto il profilo dell’energia, della voglia di fare e del rapporto extra-tennistico che ho con chi alleno, ma sicuramente non ho l’esperienza di un allenatore che vive nel tennis di alto livello da più tempo di me.
Cosa pensi dei coach che non hanno avuto una carriera agonistica di alto profilo?
Sicuramente chi ha giocato ha la vita semplificata. Io ho smesso di giocare e dopo un mese lavoravo con Starace, chi non ha giocato raggiunge gli stessi obiettivi con un percorso un po’ più lungo, ma, potenzialmente, si hanno le stesse possibilità. Poi, bisogna fare delle precisazioni in merito alla parola coach, che è molto generica. Molto dipende di chi si è coach, una donna, un uomo, un under, un professionista, un giocatore emergente. Come detto, un ex, soprattutto se di buon livello, ha qualche vantaggio in più, senza contare la credibilità verso l’esterno, verso il giocatore o i genitori, spesso anche verso la stampa. Per gli ex giocatori anche il percorso formativo federale é semplificato, infatti a dicembre sarò tecnico nazionale e ho iniziato il percorso formativo nel 2011. Chi non ha fatto attività di rilievo, per completare l’intero percorso ha bisogno di almeno 10 anni.
Di solito, come si svolge la tua giornata?
Dipende da dove mi trovo, se faccio il coach o il Maestro, se sto in giro per il torneo o se sono a Tirrenia per gli allenamenti. Insomma, ci sono troppe variabili per definire una giornata tipo. La giornata al torneo cambia sempre, soprattutto se si gioca in giornata o meno, senza contare l’incognita dell’orario del match. L’organizzazione varia a seconda delle esigenze, ad esempio, a Vienna, torneo indoor con solo due campi per allenarci, al mattino ci svegliavamo alle 7 per stare in campo alle 8 e provare i campi di gara, mentre il giorno del torneo, con il match fissato alle 15, la sveglia poteva suonare alle 9 e consentirci recupero. Diverso è se stiamo a Tirrenia, dove gli orari e la giornata variano a seconda del programma. Con il preparatore atletico alterniamo le sedute di training e a volte siamo in campo alle 9, altre alle 11 in base alla necessità di lavori tecnici o di preparazione fisica. Diciamo che non è tanto dura. Ancora diverso è quando sono a Torre del Greco, dove iniziamo al mattino alle 10 e finiamo alle 17:30 e mi dedico un po’ a tutti i ragazzi dell’agonistica e discuto con i maestri dei loro miglioramenti, dei programmi e delle necessità. In linea generale, faccio le cose con molta calma.
Se potessi creare il tennista perfetto, prendendo le caratteristiche degli attuali professionisti, da quali campioni prenderesti i colpi, da chi la mentalità e da chi altri il fisico?
Facile, ne bastano tre: la tecnica di Roger, l’atteggiamento di Rafa e il fisico di Nole.
Tra i tennisti di alta fascia, quale pensi abbia il talento più inespresso? Perchè?
Talento, talento, sento sempre parlare di talento, ma ancora non riesco a capire quando viene pronunciata questa parola a cosa fsi accia davvero riferimento, sta diventando un termine inflazionato. Per me Nadal ha talento, Federer ha talento, Djokovic ha talento, ma anche Granollers ha talento. Ma capisco il senso della domanda e posso dire che mi aspettavo più risultati da Berdych sul veloce, troppe volte ha perso match sui quali avrebbe dovuto avere pieno controllo.
Per salutarci, una domanda di carattere psicologico. Meglio vincere un primo turno contro Federer oppure portare a casa un torneo 250 Atp?
Portare a casa un torneo, sicuramente!
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