di Luca Brancher e Alessandro Nizegorodcew
Tra i tanti “uomini di tennis” italiani che hanno saputo farsi valere all’estero, Luca Appino (nella foto a destra) merita una menzione speciale. Dopo aver sviluppato varie scuole tennis sul suolo natìo, ha intrapreso un’importante esperienza nello scouting per conto di una nota azienda del settore, la Babolat, a cui ha permesso di mettere sotto contratto futuri numero 1 come Kim Clijsters, Dinara Safina, Andy Roddick e Rafa Nadal; proprio su quest’ultimo Luca ha scritto un libro, cinque anni fa, in collaborazione col noto zio-coach Toni, opera che è stata pubblicata in varie lingue. Nel frattempo ha seguito diversi giocatori di caratura internazionale, tra cui Kaia Kanepi, fino ad essere nominato, nel 2010, Direttore Tecnico della Federazione Tennis tunisina, stando in carica mentre la loro giovane promessa, Ons Jabeur, si aggiudicava il titolo del Roland Garros junior. Lo scorso autunno Luca si è stabilito a Zagabria dove ha inaugurato la Tennis Talents, di cui, attualmente, fiore all’occhiello è il 25enne Ante Pavic, presente, e giunto al terzo turno, alle qualificazioni del Roland Garros, sua seconda apparizione Slam, dopo quella australiana di gennaio.
Il croato, che sembrava destinato ad una carriera tra le seconda linee, sempre classificato tra la 400esima e la 500esima posizione della graduatoria mondiale, sta vivendo il suo momento più florido, frutto della felice esperienza sotto l’egida di Appino. Dopo i due futures vinti in Africa nello scorso autunno, Ante è divenuto un giocatore da challenger, abbattendo la barriera dei top-200 ed ottenendo la prima finale a questo livello (Rimouski) oltre a vari quarti di finale, ultimo quello nel ricco torneo di Tunisi, in cui ha superato Herbert e Cipolla. A Parigi sfiderà, per un posto nel main draw, l’enfant prodige Thanasi Kokkinakis, grazie alle due rimonte impartite a Go Soeda e Marius Copil.
Luca, come è cominciata la tua avventura con Ante Pavic?
E’ iniziata grazie ad un amico in comune, il padre dello sfortunato Nakic-Alfirevic – tennista di buone prospettive da junior, vittima di un tumore, che ne ha minato le velleità sportive, nonostante ne sia positivamente guarito – che conosceva Ante ed il padre, da cui sono stati indirizzati verso di me, che mi ero appena stabilito in Croazia. Abbiamo provato un paio di settimane, ci siamo trovati bene insieme, io in lui vedo un grande potenziale, per cui siamo partiti con una collaborazione a tempo indeterminato.
Come si sono evolute le cose in questi mesi?
All’inizio lui era appena dentro i top-500, ed ora si trova attorno alla 170esima posizione del ranking mondiale. E’ un giocatore molto versatile, che però tende un po’ troppo a “specchiarsi” e, a fronte di una facile occasione per incamerare il punto, cerca sempre la soluzione più stilisticamente rilevante, con i rischi che ne conseguono. Il mio primo lavoro è stato quello di disciplinarlo tatticamente, non ho avuto necessità di stravolgere il suo tipo di gioco, perché dal mio punto di vista c’era molto di positivo. E’ stato fondamentale, poi, che lui si fidasse delle mie parole e della mia esperienza, non solo in ambito tecnico, il tutto avvalorato dai progressi che lui stesso ha compreso di aver effettuato.
Parli, dunque, di un giocatore dal grande potenziale, che cosa ti ha subito colpito di lui?
Ante è dotato di un grande servizio, la sua palla pesa molto e sa coprire la rete. Nonostante abbia una stazza imponente (quasi due metri di altezza per circa 95 kg) ha un buon gioco di piedi, però deve rimanere sempre attivo: può giocare vincenti da ogni parte del campo
Dal punto di vista tecnico, quindi, hai puntato sua qualcosa di particolare?
Abbiamo lavorato sul dritto, lui tende a giocare molto piatto, soprattutto questo fondamentale, per cui ho cercato di inserire un po’ più di “parabola” nei suoi colpi per evitare che si assumesse troppi rischi in ogni occasione.
Immagino che per lui, trovarsi qui, a Parigi, in questi giorni sia un sogno, che probabilmente non credeva di poter avverare.
Con lui ho cercato di mutare qualcosa dal punto di vista mentale, non voglio parlare di vero e proprio lavoro psicologico, perché siamo rimasti in ambito tennistico. Ante deve prendere coscienza delle grandi qualità che possiede e deve incanalare l’energia che ha nel modo giusto. Io lo definisco un gigante buono, perché spesso tende a interiorizzare troppo le esperienze negative, sul campo, e a pensarci troppo: alla lunga è un processo molto deleterio. Attribuendogli un gioco meno rischioso riesce a palleggiare di più e, scambiando maggiormente, a meno tempo per pensare, per cui riesce ad esprimere un tennis migliore.
La strada intrapresa lo può portare tra i top-100 già quest’anno?
Penso proprio di sì, è l’obiettivo che ci siamo prefissati, ma le variabili sono molte, per cui non si possono fare troppe previsioni.
Tu sei stato in Tunisia, sei sorpreso dal caso Jaziri (giocatore tunisino a cui lo scorso ottobre fu impedito dalla sua federazione di scendere in campo in un match perché opposto ad un collega israeliano)?
Premettendo che quando ciò è accaduto io mi trovavo già in Croazia, posso solo dire che, dalla mia esperienza, i tunisini non sono ancora abituati alla democrazia, non avendola mai avuta, e accettano i compromessi con difficoltà. Alle scorse elezioni ha vinto un partito con una determinata visione politica che ha imposto il proprio credo: è una situazione ancora complicata.
Tornando al periodo tunisino, cosa ci può dire di Ons Jabeur?
Visto che lì risiedevo con la mia famiglia, dopo la rivoluzione ho preferito andarmene, per cui non ho veri contatti con loro, posso solo dire che la federazione, ma anche gli stessi genitori di Ons, ha fatto alcune scelte, in certi casi obbligate, piuttosto sbagliate e quindi, pur avendo un buon potenziale, la ragazza ha perso molto tempo in queste ultime tre stagioni.
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