di Sergio Pastena
Sarebbe stato troppo sorprendente non essere sorpresi.
Già, perché negli ultimi dieci anni l’Atp 1000 di Parigi non aveva mai rispettato i pronostici, e non è un modo di dire: solo una volta (Nadal nel 2007) una delle prime due teste di serie è arrivata in finale. Per il resto hanno vinto atleti non compresi tra le teste di serie (Nalbandian 2007, Berdych 2005, Henman 2003), sono esplosi giovani (finale di Janowicz nel 2012), resuscitati tennisti che non ti aspettavi (sempre finali, Hrbaty nel 2006 e Pavel nel 2003) e hanno trovato la loro prima vittoria in un Atp 1000 vari tennisti (Davydenko 2006, Soderling 2010, Ferrer 2012).
Le sorprese parigine venivano poi spesso parzialmente replicate al Master di fine anno, dove se è vero che l’albo d’oro recita sei volte Federer e due Djokovic, è altrettanto vero che qualcuno dei big sempre finiva col cadere a sorpresa e i valori emersi durante la stagione erano molto, ma molto relativi. E si faticava a capire perché, a dirla tutta: se Parigi vale pur sempre mille punto e a Londra ne sganciano 500 in più, perché così tanti ci arrivano scoppiati?
Misteri della fede, o forse stagioni troppo lunghe e dispendiose, mentre questo 2013 ha visto un Nadal partire di rincorsa ad anno iniziato ed un Federer suo malgrado costretto a centellinare gli sforzi nel tentativo vano di mantenersi ad altissimi livelli. La maledizione del numero uno di Parigi ha retto uguale, vista la sconfitta di oggi di Nadal contro Ferrer, ma sorprese ce ne sono state di meno, considerando che ai quarti c’erano gli otto del Master.
Anzi, andiamoli a vedere i magnifici otto di Londra e analizziamo la loro situazione alla vigilia del Master.
Rafael Nadal
Ogni atleta ha i suoi crucci, le piccole pietre miliari che lo separano dalla perfezione. La conquista del Grande Slam, ad esempio, ma il quel caso si può parlare di “mal comune mezzo gaudio” visto che non ce la fa nessuno. Poi ci sono i crucci minori, quelli che per Federer sono rappresentati dal singolare delle Olimpiadi, dal torneo di Roma (unico Atp 1000 mandatory che non ha vinto) e un po’ dalla Davis.
Nel caso di Nadal a livello di Atp 1000 mancano Miami e Parigi ma, soprattutto, manca una vittoria nel Master di fine anno, nel quale il maiorchino solo una volta ha raggiunto la finale. Colpe miste, dalla superficie al suo gioco fatto di corsa che a fine stagione spesso presenta il conto, fino agli infortuni che a volte l’han tenuto fuori dai giochi. Il saldo negativo tra vittorie e sconfitte, tuttavia, grida vendetta, e mai come quest’anno per lo spagnolo l’occasione sembra essere di quelle propizie. Riuscirà Rafa ad infrangere uno dei suoi tabù o la sconfitta di oggi con Ferrer è un fosco presagio?
Novak Djokovic
Lui a Londra ha vinto due volte, proprio negli anni in cui Rafa non c’era (2008 e 2012). E ha fame, tanta fame. Come si può non avere fame, d’altronde, alla fine di una stagione nella quale credeva di doversi guardare solo dall’assalto di Murray e invece si è ritrovato tra i piedi uno spagnolo tignoso che non conosce il significato della parola “mollare”?
Nel 2011 Djokovic aveva tirato giù sette vittoria di fila contro Rafa, poi sembra essersi inceppato: a partire da Monte Carlo 2012 ci ha vinto solo due volte su otto, una peraltro in occasione di un Atp 500. Tre confronti Slam persi, tra cui quello dolorosissimo nella semifinale del Roland Garros quest’anno. Poco da dire per lui, se vuole tornare ad assaltare la vetta deve fare tanti punti, e poi tanti. E comunque non se ne parlerà prima della prossima estate.
David Ferrer
Per chi non se ne fosse accorto, quest’anno Ferrer ha fatto il suo capolavoro. Non è tanto il terzo posto in classifica, avvantaggiato dalle soste ai box di Nadal e Murray e dalla crisi di Federer, quanto piuttosto il modo in cui l’ha ottenuto: solo due tornei vinti in stagione, tanti periodi di forma non perfetta che per lui, che non può vincere per manifesta superiorità, pesano tanto.
Eppure mentre altri avrebbero un po’ mollato, lui non si è tirato indietro di un centimetro, lottando alla morte per recuperare set di svantaggio in anonimo tornei 250 (Sock e Gulbis a Stoccolma) come in occasioni più importanti (Berdych di recente a Parigi, Dolgopolov a Wimbledon). Ha ottenuto il best ranking e la sua prima finale Slam. E se qualcuno si aspettava a Londra un Ferrer “morbido”, cambi pure canale: quello visto oggi contro Nadal non lo era affatto.
Juan Martin del Potro
Ce ne ha messo di tempo, ma sembra tornato. Il Del Potro versione 2013 è quanto di più vicino si sia visto di recente a quello che nel 2009 ha portato a casa gli Us Open a 20 anni. Gli manca giusto la lira per fare il milione, ma a 25 anni da poco fatti potrà trovarla: lo dimostrano la semifinale persa con Djokovic a Wimbledon e le finale di Indian Wells e Shanghai, perse sempre in battaglia con Nadal e RoboNole.
Li insidia, l’argentino, li fa soffrire, si propone a livelli alti ma soffre ancora di qualche caduta inaspettata (Chardy a Melbourne, Hewitt a New York). Quello che gli manca al momento è il vero e proprio guanto di sfida, il torneo nel quale mette in riga i più accreditati avversari e gli urla chiaro e forte “Da oggi ci sono anche io”. E quale migliore occasione di questo Master?
Tomas Berdych
Gli anni che passano possono portare serenità a chiunque. Ad esempio il ceco, adesso, è in una condizione psicologica ideale: non deve più smentire chi lo pronostica potenziale numero uno, perché nessuno lo fa più, né tanto meno deve sorbirsi le lamentele di chi è deluso dalla sua carriera “a un passo da”, perché anche quelle son cessate.
E così Berdych va a giocarsi il Master al termine di una stagione onestissima, con tre finali e nessuna vittoria ma punti a sufficienza per galleggiare comodamente nei Top Ten. La bacheca, però, andrebbe un pelo rincicciata visto che l’unico Atp 1000 è distante la bellezza di otto anni. Facile non sarà, ma in fondo cosa avrebbe da perdere?
Roger Federer
Non fosse stato che il segnale di S.O.S. è scattato dopo gli Australian Open e il finale di stagione è stato in crescendo, magari staremmo qui a parlare di un Federer clamorosamente fuori anche dal Master londinese. La sensazione, per molti, è quella da “ultima volta”, come quando Agassi nel 2000 arraffò a 30 anni l’ultimo spot disponibile in extremis. Il Kid di Las Vegas, tuttavia, quell’anno arrivò in finale e ci sarebbe tornato nel 2003.
Ecco, il dubbio su Federer nel corso della stagione si è spostato. Archiviato il “Tornerà mai numero uno?” per il quale la galoppata del 2012 basta e avanza, ora ci si chiede “Ma al picco della forma potrà regalare ancora qualche vittoria?”. Agassi a trentatré anni ha vinto gli Australian Open, resta da vedere di cosa potrà essere capace il buon Roger: anche oggi con Djokovic qualcosa di buono l’ha fatto vedere, ma ci vorrà di più.
Stanislas Wawrinka
Paradossi svizzeri. Al termine della tanto temuta stagione del crollo di Roger, i rossocrociati si trovano ad avere due esponenti nel Master di fine stagione, unici assieme agli spagnoli. La Top Ten 2013 di Wawrinka è però più matura di quella del 2008, figlia di un’estemporanea cavalcata in quel di Roma: Stan ha fatto a tratti soffrire i migliori, ha vinto solo un titolo ma raggiunto tre finali e a Londra potrà mettere da parte qualche altro punticino.
Speranze di vittoria? Negli anni passati avremmo azzardato un “Mai dire mai” ma, viste le condizioni dei migliori alla vigilia di Londra, sarebbe francamente troppo ottimistico.
Richard Gasquet
Ecco un altro rasserenato dal tempo che passa. Quando il tambureggiamento dei media smette di puntare l’indice sulla tua incostanza cronica e sulla mancanza di carattere, ecco che Gasquet tira via tre titoli su altrettante finali e mette da parte i punti necessari per arrivare a giocarsi il torneo dei magnifici otto.
Nella leggenda no, ma un’onestissima carriera passata in buona parte nei primi dieci sì: non tantissimo per un predestinato, neanche pochissimo. E chissà, a furia di sbattere la testa anche qualche soddisfazione più grande potrebbe arrivare. Difficile, francamente, che arrivi a Londra.
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