di Sergio Pastena
E’ bello poter parlare di Newport. E’ bello, perché il Campbell’s Hall of Fame Tennis Championship è un torneo che mette in contrapposizione due mondi. Da un lato ci sono i freddi calcolatori che, sarebbe disonesto negarlo, qualche ragione ce l’hanno: perché un torneo che fatica tradizionalmente a mettere in fila otto Top 100 e nel quale si potrebbero giocare le qualificazioni anche passando di lì per caso (quest’anno, come d’abitudine, c’erano slot vuote) deve assegnare 250 punti Atp? Fino a solo un anno fa me lo chiedevo anche io… ma poi capisci che il tennis non è fatto solo di numeri.
Già… guardi la storia e ti rendi conto che qui c’è l’erba vera, che qui ha avuto gli ultimi due acuti della sua gloriosa carriera tale Fabrice Santoro (regalando al pubblico, contro Spadea, un tweener-lob degno della Hall of Fame), che a Newport può capitarti di trovare in finale un indiano di nome Amritraj come trent’anni fa, che ogni anno esce qualche sorpresa, qualcosa fuori dagli schemi che fa saltare il banco, qualche nome che non ti aspetti. E allora capisci che quei 250 punti sono un modestissimo contributo a una superficie che non esiste più (Wimbledon ormai può essere tranquillamente accomunato ai tornei in terra verde della Wta) e che in fondo la cosa sta in piedi.
Ma guardiamo cosa propone il menu quest’anno. Non ci saranno italiani, anche se Andrea Agazzi ha impegnato a fondo il volleatore Devin Britton nel primo turno delle qualificazioni. Al primo posto nel seeding troviamo Isner, che col servizio che ha fa sempre paura. Ci sono però altri nomi molto suggestivi: Dimitrov, Sela, Rochus, Mahut, Haas, tutta gente che la mano ce l’ha e non disdegna di usarla. C’è Karlovic, per il quale vale lo stesso discorso di Isner, ci sono il golden boy Harrison, il quasi ex golden boy Kudla e l’ormai ex golden boy Young. Nell’ultimo turno delle qualificazioni si sono sfidati Rajeev Ram, vincitore nel 2009, e l’inglese Richard Bloomfield, clamoroso semifinalista l’anno scorso, entrambi alla ricerca di perduti scampoli di gloria che solo Newport gli ha saputo regalare: ha vinto l’inglese in tre set. E non c’è uno spagnolo che sia uno, cosa quasi inconcepibile per un torneo Atp. Peccato, però: un Navarro su questi campi avrebbe aggiunto e non tolto.
A parte Newport si giocherà la Coppa Davis, ma ne parleremo tra qualche giorno. Intanto lasciamo che a parlare sia l’erba, quella vera, quella dove tutto può succedere.
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